Per le aziende del vino la paura di Trump
Lo spettro dei dazi per colossi come Cavit e Mezzacorona che hanno negli Stati Uniti il principale mercato estero
TRENTO. Per i produttori di vino trentini - grandi cantine ma anche piccoli vignaioli - la grande preoccupazione si chiama Donald Trump. In particolare le politiche di protezione dei mercati americani e la guerra dei dazi che potrebbe scatenarsi tra Stati Uniti ed Europa dopo l’annuncio di limitazioni alle importazioni di prodotti negli Usa. L’allarme l’ha lanciato ieri Giorgio Mercuri, presidente delle cooperative agroalimentari italiane, che - intervistato dal Corriere della Sera - ha spiegato che se il protezionismo dovesse estendersi dall’acciaio ad altri settori per le aziende italiane del settore agroalimentare ci sarebbe il rischio di danni enormi: «Siamo preoccupati - ha detto - perché sono gli stessi importatori americani a metterci in guardia».
Ed è preoccupato anche Bruno Lutterotti, presidente di Cavit, il gigante trentino del vino che è anche il primo marchio italiano negli Stati Uniti, un mercato che vale il 60 per cento dell’intero fatturato del consorzio trentino: «Da mesi seguiamo le politiche economiche americane con preoccupazione. Purtroppo dal punto di vista aziendale non abbiamo possibilità di intervento, perché si tratta di vicende che vanno affrontate in sede nazionale o meglio europea. Ma è chiaro che la prospettiva di ritrovarci con un aumento dei prezzi dei nostri prodotti sul mercato per noi è tutt’altro che rassicurante: parliamo di prodotti di fascia media, per cui il prezzo è un variabile importante per le scelte dei consumatori».
Per capire quanto Cavit tenga al mercato americano - al di là dei numeri - basta osservare gli spot pubblicitari pensati proprio per i consumatori statunitensi, in cui viene promosso il “brindisi” made in Italy, anche con una certa apertura di vedute visto che tra le coppie che fanno “cin cin” ci sono anche due uomini nel giorno del loro matrimonio.
Ma Cavit non è l’unica azienda a guardare con preoccupazione alle politiche del presidente Trump. Anche le Cantine Mezzacorona hanno nel mercato americano il principale sbocco all’estero, con una società fondata negli anni Ottanta - la Prestige Wine Imports di New York - che ha un fatturato di quasi 57 milioni su un totale di 184 milioni del fatturato del gruppo di Mezzocorona.
«Ma al di là delle aziende più grandi - spiega ancora Lutterotti - ci sono anche vari piccoli vignaioli che hanno interessi negli Stati Uniti. E il motivo è molto semplice: si tratta del paese in cui c’è il maggior consumo di vino al mondo, è lì che c’è il business». Se i prodotti d’importazione dovessero essere penalizzati il colpo per le aziende trentine potrebbe essere davvero enorme. Ben peggiore rispetto all’embargo del mercato russo. Un rischio che nei bilanci delle aziende era evidenziato soprattutto in merito alle oscillazioni del cambio tra dollaro ed euro. Ma un rapporto commissionato dalla Cooperazione due anni fa evidenziava già che tra le preoccupazioni delle coop agroalimentari trentine la paura dei dazi era ben presente, denunciata dal 27 per cento dei produttori. Lo stesso rapporto evidenziava come gli Stati Uniti fossero il primo mercato estero per Cavit e Mezzacorona e il secondo (dopo la Germania) per le Cantine La Vis.