«No. A Rovereto l'inceneritore no»
Nell'immediata periferia discarica, fabbriche, depuratore e terreni inquinati. Con la città sotto vento: l'Ora del Garda manda tutto sulle case. Giampaolo Ferrari: "Chiediamo certezze"
ROVERETO. Il “punto panoramico” migliore per capire di cosa si parla è la prima delle strade tagliafuoco dello Zugna, quella che da Costa Violina arriva a Serravalle. Guardando verso valle, sotto i piedi si ha quel che resta dei laghetti di Marco (biotopo) e dietro la collina artificiale di una discarica di cui solo da lì si apprezzano le dimensioni. A ovest e a nord, la “abbraccia” la zona industriale. Qualche chilometro più a ovest lo bocco della Valle del Cameras sulla Vallagarina: è il camino naturale da cui l’Ora del Garda entra ogni giorno sulla valle dell’Adige, che poi percorre gagliarda fino in Rotaliana. Subito a nord della collina di rifiuti, un quadrilatero irregolare grande quando un paese, la Biochemie col suo depuratore e le sue ciminiere, poi la Marangoni e il suo inceneritore. Confinanti direttamente con il paese di Lizzana. Paese che ormai si è urbanisticamente saldato con Rovereto, il confine nord della zona industriale è segnato dalla stecca di case e dall’area commerciale di via del Garda.
Giampaolo Ferrari, già consigliere comunale per i Civici, abita sulla collina di Lizzana. Il tentativo un po’ ingenuo del paese di allontanarsi da quel vicino così ingombrante. «I fumi della zona industriale? Basterebbe venire a casa mia con uno straccio da spolvero per farci una tesi di laurea. I davanzali che affacciano sulla valle sono puliti, quelli sul lato opposto, verso la montagna, si ricoprono ogni notte di un polverino sottile e nero. Pare incomprensibile, ma la spiegazione secondo gli esperti è che gli inquinanti emessi da camini e inceneritori industriali (ce ne sono tre in funzione costante) vengono spinti dal vento verso la montagna, salgono rapidamente in quota raffreddandosi e poi precipitano, scendendo lungo il fianco della montagna stessa. Lo chiamano effetto fall out. Che è vistoso anche più a nord, sulla parte più a sud della città. È la stessa sorte che toccherrebbe ai fumi del termovalorizzatore, solo che a camino più alto e temperature più alte, si può immaginare che conseguirebbe una espansione dell’area interessata. Se lo troveranno sui davanzali di tutta la città e probabilmente anche dei paesi del circondario verso nord. Non a Marco o Ala, perché il vento dominante è quello dal Garda e spinge sempre verso nord».
A Lizzana però non è solo né tanto il termovalorizzatore che temono, ma il «cumulo». Perché si dice che un impianto moderno inquini meno di un quarto di una discarica, ma loro hanno già anche la discarica. E hanno decine e decine di industrie attive, alcune anche con produzioni molto delicate in termini ambientali. Soprattutto, hanno sotto le finestre una zona industriale nata negli anni Sessanta e il cui sottosuolo fa pensare alle gallerie nella montagna del Signore degli Anelli: non si ha la più pallida idea di cosa possa esserci, sotto mezzo metro di terra. In 70 anni di storia industriale, ci sono nate e morte aziende chimiche di ogni genere, lavorazioni di materiali oggi risaputamente tossici.
E in un’epoca in cui essenziale era la crescita e lo sviluppo: era normale sversare qualsiasi tipo di refluo nel vicino Rio Coste e stoccare, quando non seppellire, qualsiasi residuo solido in terra. «Sono più di 10 anni - ricorda Ferrari - che a Lizzana chiediamo che si faccia un analisi del suolo e della falda. E anche che si monitori la qualità dell’aria rendendo pubblici i dati. Non siamo mai riusciti ad averli. Come non abbiamo la dimensione ufficiale della maggiore incidenza di alcuni tipi di tumore rispetto alla media provinciale, che varrebbe sia per Lizzana e Lizzanella che per Sacco: le frazioni più vicine». Prima che si prenda qualsiasi decisione, è la richiesta dei residenti nella zona di cui Fratelli d’Italia si è fatto alfiere, una analisi approfondita della situazione attuale va fatta. E i dati resi pubblici. È l’unico modo serio di affrontare il problema: verificare se questa zona e la vicinissima città possano sopportare un ulteriore peso ambientale. Si parla di 40 mila persone. Che chiedono di godere almeno della stessa considerazione delle vigne della Rotaliana.