Lo sport paralimpico cresce ma serve più professionismo
Movimento in grande espansione. Riflessione al ciclo di conferenze “In che ruolo giochi?” Gli atleti italiani sono ancora costretti a trovarsi degli sponsor. Scarsa la presenza femminile
Trento. Si è concluso nel pomeriggio di ieri "In che ruolo giochi?", un ciclo di conferenze incentrato sullo sport e le diverse prospettive di genere che ha dato vita a tre interessanti incontri sul tema. Dopo la conferenza dedicata a pregiudizi e stereotipi e quella relativa al calcio femminile, l'argomento affrontato nell'ultimo incontro è stato quello dello sport, del genere e della cultura paralimpica. Ad intervenire nella discussione moderata da Alessia Tuselli sono state Claudia Cretti, paraciclista dell'Asd "Born to win" ed iscritta al programma Top Sport dell'Università di Trento, e Alessandra Campedelli, dal 2016 allenatrice della Nazionale italiana sorde di pallavolo.
Non si è parlato solo di problemi di genere, dunque, ma anche della cultura paralimpica stessa.
Si tratta di un movimento in continua crescita, sia nel mondo che in Italia, come dimostrano il numero crescente di medaglie azzurre ed i dati provenienti dalle Paralimpiadi stesse, che nel 2016 a Rio hanno visto gareggiare 4328 atleti ed atlete da 176 paesi, con quasi due milioni di biglietti venduti. Un grande passo in avanti rispetto ai "Giochi internazionali per persone paraplegiche" di Roma del 1960, a cui parteciparono 400 atleti ed atlete provenienti da 21 nazioni di fronte a 5mila spettatori. Numeri destinati solo a crescere in vista della prossima edizione che andrà in scena a Tokyo nel 2020.
Claudia Cretti ha quindi raccontato la sua storia, una storia di nuovi inizi: grande promessa del ciclismo italiano, durante il Giro d'Italia femminile del 2017 una caduta ad alta velocità la fece finire in coma per diverse settimane.
Dopo operazioni alla testa e tanta riabilitazione è però tornata in sella a livello paraciclistico e fa ora parte della squadra "Born to win": una scelta che non era scontata, come ha raccontato Claudia, ma di cui si è convinta dopo essersi allenata con il team, vista la grande forza degli atleti.
Ha raccontato la sua esperienza anche Alessandra Campedelli, di come si è avvicinata a questo mondo, tramite la squadra di suo figlio, anch'egli sordo, e di come ne sia stata metaforicamente "fagocitata", portando pochi anni dopo la nazionale femminile sorde di volley alla vittoria di un argento olimpico.
Coach Campedelli ha quindi spiegato come uno dei problemi riscontrati risieda nel fatto che in altri paesi lo sport per sordi è comunque considerato a livello professionistico, al contrario dell'Italia, con tutte le difficoltà del caso e la necessità di trovare sponsor per poter finanziare i raduni.
Si ripresenta, dunque, anche nel mondo paralimpico il problema del professionismo sportivo in Italia, di cui si era già parlato negli incontri precedenti, con i soli atleti maschili di calcio, basket, golf e ciclismo che vengono riconosciuti come professionisti.
Non mancano in questo mondo, peraltro, anche i problemi relativi alle differenze di genere: nelle ultime olimpiadi invernali andate in scena in Corea del Nord l'Italia è stata l'unica nazione, oltre all'Arabia Saudita, a presentarsi con una delegazione senza atlete femminili.
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