Lingua Gender: incisività e limiti

Il Frankfurter Allgemeine Zeitung Magazin dell’ultima settimana lancia lo sguardo sull’università per scoprire gli spifferi, se non proprio i soffioni d’aria nuova che il mondo accademico dovrebbe...


di Antonio Scaglia


Il Frankfurter Allgemeine Zeitung Magazin dell’ultima settimana lancia lo sguardo sull’università per scoprire gli spifferi, se non proprio i soffioni d’aria nuova che il mondo accademico dovrebbe automaticamente annunciare. Dovrebbero. È d’obbligo peraltro dubitare della natura innovativa degli uomini e delle istituzioni cui la società affida l’annuncio, la generazione e la diffusione del nuovo. Raymond Boudon, il sociologo parigino legato a Trento da genuina e libera simpatia, ironizzava sull’odore e sull’inevitabile sapore di stantio e di presuntuoso del “nuovo”, e concludeva:” nulla è più vecchio del nuovo”; per dire che nulla sa davvero di vecchio e illiberale del nuovo quando esso vuole imporsi.

Il contributo di questo Magazin è comunque un tentativo di sciorinare le curiosità studentesche, estemporanee; nuove perché riproducono l’insofferenza giovanile per l’autoritarismo troppo spesso saccente dell’accademia che riesce a soffocare o ad attutire l’anima critica del pensiero, della lingua e delle arti. L’articolo guida propone un titolo composto di due termini universitari (fra i tanti): “Dozierende” e “Bürgerinnensaal”; dovendo tradurre, siamo già nei pasticci: con Dozierende la lingua Gender tedesca ha scelto un plurale che vale per i due generi e con Bürgerinnensaal si fa prevalere il femminile per indicare un’aula, rendendo la pariglia vendicativa, utilizzando cioè il femminile (che è fatto valere anche per il maschile) come valido per ambedue i sessi, cosa che il maschile ha fatto valere per secoli. Se avessi detto “generi” sarei entrato in collisione con Gender. L’autrice dell’articolo, Lisa Kuner, è quasi impeccabile. Ci accompagna dentro lo stuolo agguerrito di specialisti della lingua Gender, con la documentazione cui lo studioso tedesco mai rinuncerebbe, cercando altresì di sposare una neutralità che, alla fine di un lavoro encomiabile, raggiunge l’obiettivo di convincerci che si tratta di un’impresa disperata. L’ipertrofia maschilista credo sia comunque universalmente chiara. A prevalere, sembrano oggi essere le ideologie del maschile, del femminile, la difesa delle omosessualità e i canotti di salvataggio, ovvero vascelli ong in cerca di naufraghi che non si sa se desiderino essere tratti in salvo o se siano preoccupati di essere finiti in balia tra Scilla e Cariddi. In realtà come tutti gli umani, sognano le pari opportunità, ma dall’esperienza amara del navigare in questi mari difficili, sanno che la realizzazione degli affetti radicati nella vitalità dei sessi deve sfuggire a un nemico mortale: quello che li cerca per sottoporli all’ottusità di libertà astratte, scolpite nell’ideologia che non ammette dubbi o deviazioni dai dogmi dei cosiddetti specialisti.

Il Magazin offre spericolati esempi linguistici, di sostantivi ed espressioni verbali per denominare nuovamente e indicare l’uso di spazi e luoghi che esprimono l’uso sessista della lingua nella cultura. Esempio provocatorio e insieme faceto è la proposta di tornare indietro eliminando le toilette distinte per sesso, ovviamente perché la distinzione è contro il nuovo dogma della neutralità. Ovviamente, l’esempio non risolve i gravi interrogativi che la lingua gender intende evidenziare e affrontare. Il tema del rapporto tra lingua e gender ha, invero, agganci di alto significato antropologico e culturale, poiché la lingua è lo specchio delle visioni del mondo dei popoli, delle vette, della quotidianità come pure degli abissi del male di cui popoli e nazioni sono forgiatori nella loro storia. Mannheim, Karlsruhe, Humbolt Uni Berlin, Frankfurt Uni, secondo l’articolista, esprimono in modo impegnato, alle volte anche aggressivo, il mondo universitario, in cui docenti, ricercatori e studenti (Studierende) sono coinvolti in modo diverso.

Per accalorato che sia il dibattito su lingua gender, è indispensabile chiedersi fin dove tale interrogativo sia legato a doppio filo alla visione del mondo europeo occidentale; quest’ultimo dovrà tuttavia, quanto prima confrontarsi con le anime culturali orientali e totemiche. E. Durkheim, R. Benedict e H. Levy-Strauss hanno aperto la strada all’osservazione e alla comparazione delle radici antropologiche delle grandi culture. E’ bene che riprendiamo questo percorso nel momento in cui i grandi popoli e le culture del pianeta cercano il confronto reciproco, a partire dai diversi significati che esse danno allo sviluppo, al presente e al futuro, poiché senza comprensione non si costruisce la convivenza tra gli umani.













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