Le tre «O» che misurano la giunta Rossi
Ospedali, orso, omofobia: le sorprese e gli errori nelle prime vere prove dell’esecutivo. Che spiegano tante cose
Ospedali, orso, omofobia. Sono le tre “O” su cui la giunta si è incagliata in quest’anomala estate finita ieri. Sì. Ospedali, orso, omofobia. Sono le tre “O” (“ooo” di stupore, se volete) che hanno misurato la nuova epoca del dopo Dellai.
Ospedali
Con l’annuncio della futura chiusura del punto nascite di Tione, come ben sa il lettore, si è scatenata una bufera. Una bufera in un bicchier d’acqua. Perché tutte le Giudicarie si sono unite a difesa del loro ospedale, che ormai (dicono “i rivoltosi”) verrà spogliato come un carciofo, foglia dopo foglia. Perché anche Borgo e Cavalese se la sono fatta sotto. Ma sia Tione che Borgo che Cavalese sanno bene che un processo di aggiornamento del sistema sanitario trentino è in corso. E la crociata a difesa dei singoli ospedali è solo un autogol per il Trentino che vede calare le risorse. Lo sanno bene gli amministratori che cavalcano l’onda della protesta solo per non essere accusati di starsene inermi. Lo sa benissimo Ugo Rossi, peraltro, che il disegno di riordino del sistema sanitario lo ha fatto marciare rapidamente nei cinque anni da assessore alla sanità. Ora però la patata bollente ce l’ha in mano Donata Borgonovo Re. Che si è semplicemente infilata nel solco tracciato da Rossi. Solo che Rossi (e anche il resto della giunta) le rimprovera di aver sbagliato i modi dell’annuncio. No, non si fa così Donata. Si può dire che si chiude qualcosa solo dopo aver aperto o inaugurato qualcosa d’altro. E’ questo il ritornello che Rossi e gli altri assessori (anche Olivi, eh) cantano alla Donata da tutta l’estate (e ieri, guarda caso, sono spuntate le “case della maternità”). Perché poi lei ha suonato pure la fanfara della chiusura delle mammografie in periferia, accidenti. Eppure è stato Rossi a darle la delega della sanità. E mica si può dire che non la conoscesse. Sapeva bene di che pasta è fatta. Sapeva bene che Borgonovo Re era la signora “denuncio la mafia dei piccoli comuni” ai tempi in cui faceva la difensora civica. Donata Borgonovo Re non tiene i sassi in tasca. E allora perché a lei la patata più bollente? Per bruciarle la mano. La mano di questa legislatura. Era stata la più votata, aveva superato le diecimila preferenze al primo colpo e tutti sapevano che aveva ascendente su ampie fasce di elettorato. E allora beccati la sanità, Borgonovo. E così anche dentro il Pd ora le dicono: “Donata non andare avanti da sola, confrontati con noi e con la giunta, perché se continui così perdi consenso nelle valli e perdi credibilità sulle capacità di gestire una coalizione”. Come dire: se continui a far di testa tua impossibile puntare su di te come futuro candidato presidente. Ma Borgonovo Re è fatta così. Allora uno pensa: Rossi ha giocato d’astuzia. Però poi ci ripensa: ma a Rossi conviene mostrare una giunta debole sulla sanità, conviene mostrarsi un presidente che non sa tener a bada l’assessore? E potrà mai sconfessare la Borgonovo Re su un terreno arato proprio da lui?
Orso
Questa è stata una “O” con un profilo nazionale. I riflettori si sono accesi a Ferragosto e non si sono ancora spenti (vedi i raid animalisti di ieri). Perché sotto c’è anche una battaglia nazionale sulle Guardie Forestali. Perché c’è chi sostiene che Roma voglia far fuori il sistema regionale e accentrare tutto e non c’è miglior barzelletta da raccontare in Italia che quella d’una Provincia, ritenuta modello, che non sa catturare un orso. Una Provincia che uccide «mamma orsa». E così gli animalisti diventano semplici comparse e inconsapevoli pedoni in questo gioco raffinato. Ma proprio per questo sorprende che la giunta Rossi si sia fatta travolgere da Daniza. Anche in questo caso c’è un problema di comunicazione politica e di gestione amministrativa. Appena scoppia il caso, con l’incontro ravvicinato tra “Carnera” e Daniza nel bosco, la Provincia suona le trombe: «Cattureremo l’orsa». Ma poi passano le ore, i giorni, le settimane e dell’orsa non si sa più nulla. Quando parte l’annuncio della cattura, peraltro, c’è Olivi in cattedra, perché il presidente Rossi s’è appena imbarcato per le vacanze negli States. E anche qui c’è qualche distonia: par di capire che la cattura sia necessaria ma balena anche l’ipotesi che di fronte a un pericolo si possa abbattere Daniza. Apriti cielo. Gli animalisti planano su piazza Dante. A Pinzolo, Spiazzo Rendena, Strembo, invece, gli anziani tornano a ricordare ai giovani l’epopea di Luigi Fantoma, il «terminator degli orsi» della Val Genova nel tardo Ottocento e la giunta così si trova stretta in una tenaglia, tra il furore animalista e la rabbia «anti-animalista». La squadra dei forestali, in realtà, sta facendo un lavoro prezioso: Daniza viene lasciata libera ma tenuta sotto controllo, una specie di libertà vigilata, perché i forestali sanno bene che se catturano Daniza e lasciano i cuccioli soli, è allarme rosso per i piccoli. Ma nessuno spiega nulla. E invece se il problema cuccioli si fosse dichiarato apertamente il clima si sarebbe stemperato.
Poi Daniza sfugge ai controlli e irrompe nel pollaio in val Borzago, incappando in un contadino in mutande: a quel punto non c’è più tempo per spiegare nulla. Meno di 24 ore e Daniza viene raggiunta dal dardo di anestetico. Una dose misurata come inferiore al necessario che invece l’ammazza. Si scatenano i vecchi e nuovi media: ritrova un ruolo (dopo aver perso quello in “Alle falde del Kilimangiaro”) persino Licia Colò, urla la sua rabbia la cantante Giorgia, si risveglia dal letargo anche Frattini: insomma Daniza diventa cool e Rossi - sui media nazionali - lo si vorrebbe già rottamare. Il caos prosegue e la partita (con i cuccioli nel bosco) non è ancora finita.
Omofobia
E infine c’è la “O” di omofobia. Una leggina per sciacquarsi la bocca, dicono i laici che l’hanno letta parola per parola, una sorta di dichiarazione di buoni propositi sui diritti, senza toccare neppure di striscio l’impianto della famiglia tradizionale e senza evocare neppure lontanamente l’adozione di figli (materia peraltro preclusa all’autonomia). E invece è il caos, di nuovo. La maggioranza, che aveva firmato un accordo, si sbriciola. E l’oppositore Rodolfo Borga (uno dei rarissimi oppositori rimasti in consiglio provinciale) approfitta dei tentennamenti in maggioranza e sforna una quantità di emendamenti mai vista. Aprendo di fatto un braccio di ferro nel quale Rossi si trova imprigionato. E così il consiglio provinciale si raduna a oltranza per una legge che, a dispetto del tema certamente impegnativo, è picciol cosa. Si raduna per giorni e giorni, si rinchiude nell’aula perfino di sabato e di domenica. Uno zelo che a tanti cittadini sfugge, visto che l’unico altro interesse precedente della classe politica si era concentrato sui vitalizi. Insomma, anche in questo caso la giunta (che non riesce a fare sintesi) rimane intrappolata in una “O”, al punto che tuttora non si vede quando arriverà la soluzione: perché c’è grossa parte della maggioranza che non vuol cedere al ricatto dell’ostruzionismo e preferisce andare avanti in aula, per una questione di principio e non perché ritenga la legge strategica o fondamentale.
Insomma, che fatica per la giunta Rossi! Le tre “O” hanno chiarito che la nuova fase post Dellai non è ancora decollata. Rossi ha superato l’estate ed è riuscito a rimetterla in sesto “minacciando” possibili dimissioni. Ma il vero nodo è legato al fatto che dentro il Pd e dentro l’Upt pare regni l’idea che “dopo Rossi vediamo chi c’è”. Problema che non ebbe Dellai, quando iniziò la sua avventura, perché tutti lo avevano riconosciuto (curiosamente dopo l’ultimo giro di giostra di un altro autonomista, Andreotti) come il garante della coalizione. E poi erano tempi in cui le borse erano piene...