Le paure Dem: i diktat di Roma e la concorrenza a sinistra
Gilmozzi e Manica: «No al capolista imposto dal nazionale». Tonini a fine corsa, Nicoletti cerca la riconferma, incognita Olivi. E con le «quote» per legge, le donne saranno protagoniste
TRENTO. Il 40% delle Europee è ormai un ricordo sbiadito. I sondaggi sfornano numeri molto lontani da quell’exploit e la campagna del Partito democratico per le politiche della prossima primavera si annuncia in salita, con un vento che pare gonfiare le vele del centrodestra e del Movimento 5 Stelle.
Sfumato l’accordo con Campo Progressista di Giuliano Pisapia, che avrebbe dovuto «coprire» l’area di sinistra, la concorrenza di «Liberi e Uguali» - la nuova creatura che D’Alema e Bersani hanno affidato al presidente del Senato Pietro Grasso - potrebbe fare molto male al Pd nei collegi. E anche la lista di centro in costruzione - che vede tra i registi Lorenzo Dellai - fa i conti con defezioni e titubanze degli alleati di governo alfaniani, dove c’è chi, dopo i cinque anni di governo con il Pd, vorrebbe fare corsa a sè, se non addirittura tornare nel centrodestra con Berlusconi e Salvini.
A complicare il quadro, per i Dem trentini, ci sono in questo momento almeno altre tre variabili: i possibili diktat nazionali sul capolista al proporzionale, come conciliare il recente accordo politico con l’Upt mentre proprio l’Upt si appresta nel proporzionale a varare anche in Trentino la lista con Casini e Lorenzin, infine quali rapporti tessere a sinistra visto che qualche mese dopo le politiche in Trentino si voterà per le provinciali.
CAPOLISTA E I BIG NAZIONALI. Di tutto questo si è discusso nel coordinamento provinciale di lunedì sera. Primo punto: il capolista. Il partito da Roma potrebbe chiedere quel posto per un big nazionale, nei giorni scorsi è circolato con insistenza il nome della sottosegretaria Maria Elena Boschi, che potrebbe essere catapultata lontana dalla sua Toscana dove le vicende di Banca Etruria le stanno creando non pochi problemi. «Finora non è arrivata nessuna richiesta in questa direzione», taglia corto il segretario Italo Gilmozzi, «e comunque è chiaro che non va bene, noi vogliamo che le candidature si riescano a condividere sul territorio». Ma è altrettanto chiaro - hanno fatto notare durante la riunione i due parlamentari, Giorgio Tonini e Michele Nicoletti - che facendo parte di un partito nazionale è possibile che questa ipotesi si concretizzi. Del resto - anche se con un’altra legge elettorale - la stessa cosa era avvenuta alle ultime politiche 2013, quando Gianclaudio Bressa (che pure è considerato espressione del territorio in quanto bolzanino di adozione) fu messo al primo posto in lista, facendo perdere a Elisa Filippi, che aveva ottenuto un ottimo risultato personale alle primarie, il treno per il parlamento.
«Già siamo pochi, meglio sarebbe che il nazionale mandasse i big altrove», concordano nel Pd. Tra i più netti c’è il capogruppo provinciale Alessio Manica: «Sarebbe un disastro. Già è difficile motivare gli elettori, servono candidati collegati al territorio».
LA LISTA CASINI E L’ACCORDO CON L’UPT. Altro nodo: gli alleati. La nascente lista centrista a cui lavora Dellai a Roma, fa un po’ a pugni con l’accordo appena siglato con l’Upt a Trento, e il tentativo di superare gli steccati del passato, quando Dellai non volle entrare nel Pd. «Dovremo fare uno sforzo, una listarella centrista non è la soluzione migliore», incalza Manica. «L’intesa va rafforzata e le politiche sono un banco di prova», ha detto Tonini. E il segretario Gilmozzi conferma che si lavorerà per capire «se in Trentino ci sono margini per stare insieme». Ma in casa Upt la lista è considerata cosa fatta, il che non dispiace affatto al segretario Tiziano Mellarini che deve convincere una parte del suo partito che non è in atto un’annessione ai Dem. E anche il Pd nazionale preme per dare rappresentatività anche in Trentino alla lista di Casini & co, anche se non farà eletti.
I RAPPORTI A SINISTRA. Il Pd dovrà poi presidiare i rapporti a sinistra, con i fuoriusciti di Mdp (ora Liberi e Uguali). Difficili immaginare desistenze, visto che l’indicazione che arriva dai vertici romani è di essere presenti con il nuovo partito in tutti i collegi, in concorrenza diretta con il Pd di Renzi che resta l’«avversario» da battere. Ma è pur vero che in Trentino i rapporti, in primis personali, non sono tesi come a livello nazionale, e che in autunno si tornerà a votare per le provinciali, e lì i ragionamenti degli ex Pd potrebbero cambiare.
A sinistra i Dem dovranno ragionare anche con Socialisti e Verdi, che dovrebbero entrare in coalizione nella lista con i radicali e che anche in Trentino reclamano visibilità nei collegi.
I PAPABILI PER ROMA. In questo quadro i possibili candidati Pd al parlamento sono quelli che circolano da settimane. Ufficialmente nessuno fa nomi. Della commissione elettorale - tema all’ordine del giorno del coordinamento di lunedì - non c’è traccia. Il vicepresidente Alessandro Olivi ripete di non voler andare a Roma, ma in molti continuano a pensare che si candiderà. Il senatore Giorgio Tonini ha più volte spiegato che la sua esperienza parlamentare dopo 15 anni si chiuderà con questa legislatura, ma c’è chi assicura che il pressing degli alleati perché ci ripensi è in atto. L’altro uscente, il deputato Michele Nicoletti, punta invece ad un secondo mandato. Questa volta la legge prevede il 40% di donne, e dunque ecco in pista Elisa Filippi (fedelissima di Renzi che questa volta spera in un esito diverso dal 2013), miss preferenze Donata Borgonovo Re (che pure preferirebbe restare in Trentino) e la consigliera Lucia Maestri (che invece ambirebbe). «Troppi destini personali in gioco, siamo in un limbo tattico», è la sintesi di un colonnello del partito. Ma per giocarsi la partita a marzo serviranno idee e strategia.
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