L'esperto: "Senza teleriscaldamentol'inceneritore di Trento è inutile"
La scommessa dell’inceneritore? Chiudere il ciclo rifiuti producendo energia. «Ma senza una rete di teleriscaldamento, l’impianto sarà un non senso», è la previsione di Walter Giordani, ingegnere, già direttore di Asm Rovereto
TRENTO. La scommessa dell’inceneritore? Chiudere il ciclo rifiuti producendo energia. «Ma senza una rete di teleriscaldamento, l’impianto sarà un non senso», è la previsione di Walter Giordani, ingegnere, già direttore di Asm Rovereto. «L’operazione regge, economicamente e ambientalmente, solo se si sfrutta il calore, ecco perché il bando rischia di essere un freno per i privati».
Ingegner Giordani, a Trento serve un inceneritore?
Il ciclo dei rifiuti va chiuso utilizzando l’energia prodotta dai rifiuti, come prevedono le normative europee.
Secondo gli ambientalisti non è stato fatto tutto il possibile per ridurre e differenziare al massimo i rifiuti, evitando così l’inceneritore. Qual è il suo giudizio?
Direi che in Trentino si è data priorità al riutilizzo dei rifiuti e che il 65 per cento di raccolta differenziata è un buon obiettivo. La riduzione è un obiettivo da perseguire, ma resta comunque una quantità di residuo e questa va bruciata sfruttandola al meglio. A mio parere ci si è focalizzati tanto sul ridurre al minimo la quantità di immondizia da bruciare, per evitare l’inceneritore, perdendo di vista il modo migliore per utilizzare quello che si brucia. Questa è la scelta strategica.
L’alternativa al termovalorizzatore dunque non c’è?
Non può essere quella di esportare i nostri rifiuti, sarebbe poco etico. Il ciclo va chiuso sul territorio.
Molto si è dibattuto sulla collocazione dell’impianto (Ischia Podetti, ndr), da molti considerata infelice. Cosa ne pensa?
Trento è la collocazione giusta per due ragioni: è baricentrica rispetto alla produzione dei rifiuti, e quindi è il luogo che minimizza la fase di raccolta e trasporto, ed è l’unica città in grado di utilizzare al meglio il calore recuperabile dal termovalorizzatore.
Come?
Il piano provinciale rifiuti prevede che l’impianto possa bruciare 103 mila tonnellate all’anno. A conti fatti, il contenuto energetico dei rifiuti che restano a valle della differenziata è nell’ordine di 430 milioni di kW ora di combustibile, che equivalgono a 45 milioni di metri cubi di metano. È quasi il 13 per cento dei nostri consumi domestici per riscaldamento ed energia elettrica.
Siamo pronti per questo utilizzo dell’energia prodotta dall’inceneritore?
No, e qui sta il problema. Per collocare utilmente il calore recuperato servirebbe una rete di teleriscaldamento di 50 chilometri che potrebbe servire un quarto degli abitanti della città. Un investimento che si aggirerebbe sui 50 milioni di euro.
Chi dovrebbe realizzarlo?
ll bando di gara del termovalorizzatore lascia che siano i privati a competere sulla progettazione, realizzazione e gestione del teleriscaldamento. Presentare un progetto non è obbligatorio, ma chi lo farà sarà premiato a livello di punteggio.
Qual è la sua obiezione?
Questa impostazione sarà un freno per i privati. Le aziende faranno due conti e non avendo garanzie di reale collocazione del calore, saranno spinti a rinunciare. Ma un termovalorizzatore non in grado di utilizzare il calore prodotto sarebbe un non senso, dal punto di vista etimologico ma soprattutto ambientale, sociale ed economico.
Come si può superare questo rischio?
L’approccio più sensato mi sembra quello adottato nelle esperienze simili del Nord Europa: distinguere tra chi produce il calore (il gestore dell’impianto) e chi lo distribuisce.
E chi dovrebbe distribuirlo?
Dolomiti Energia. Una rete di teleriscaldamento di grandi dimensioni andrebbe in concorrenza con l’attuale esercente della rete del gas, che è appunto DE, di cui il Comune è il maggior azionista. Sarebbe probabilmente ancora possibile che durante la costruzione del termovalorizzatore, Dolomiti Energia costruisse buona parte della rete di teleriscaldamento.
Cosa guadagnerebbe Trento con il teleriscaldamento?
Il guadagno ambientale sarebbero i 25 mila cittadini che spegnerebbero le caldaie. Avremmo 18 mila tonnellate all’anno di minori emissioni di anidride carbonica e 15 mila chili in meno di ossidi di azoto.
Sarebbe una compensazione dell’inquinamento prodotto dall’inceneritore...
Se parliamo di ossidi di azoto, il termovalorizzatore ne emetterà circa 7 mila chili all’anno, meno della metà delle emissioni che si eviterebbero dalla chiusura delle caldaie.
C’è però il problema delle diossine e degli altri inquinanti emessi dall’impianto.
Grazie ad un camino molto alto e in virtù dell’ulteriore risalita dei fumi caldi, la loro ricaduta al suolo avverrà a distanza tale che i microinquinanti saranno diluiti tanto da essere trascurabili rispetto alle altre fonti molto vicine al suolo, per esempio le automobili. Si può affermare con ragionevole certezza che la qualità dell’aria migliorerà sensibilmente nella zona teleriscaldata mentre peggiorerà, ma in maniera nemmeno misurabile, nei vicini agglomerati urbani.
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