«Il saldo è positivo Nelle grandi imprese i posti sono cresciuti»

Bonazzi (Confindustria) dopo l’annunciata chiusura dell’ex Hilton: «Resiste e cresce solo chi innova»


di Chiara Bert


TRENTO. «Ci sono aziende che non hanno saputo innovare e trovare soluzioni alla crisi. Ma nel complesso in Trentino la grande industria ha aumentato i posti di lavoro». Giulio Bonazzi, presidente di Confindustria Trento, invita a guardare con fiducia al futuro del manifatturiero.

Presidente Bonazzi, la contabilità dei posti di lavoro persi nel 2016 in Trentino però si rivela impietosa: 800 posti saltati per aziende che hanno chiuso o ridotto l’attività. Che effetto le fa?

Certo sono cifre che fanno impressione, ma in Trentino il saldo tra posti persi e creati è positivo. Non bisogna guardare con sfiducia al futuro del manifatturiero, se così fosse sarebbe un grave problema per la provincia di Trento visto il valore aggiunto che esprimiamo e le tasse che paghiamo al sistema trentino e al sistema Paese. Il tasso di disoccupazione è diminuito e le aziende hanno aumentato nel complesso l’occupazione. Certo purtroppo ci sono casi di aziende che non sono riuscite a trovare una soluzione alla crisi e sono state costrette a ridurre o addirittura a chiudere.

L’ultima in ordine di tempo è una multinazionale, la Confezioni Moda Italia (ex Hilton, ndr) di Mattarello: 57 lavoratori a casa.

Sì, ma ricordo che dal 2008 a oggi le grandi aziende hanno fatto un più 16% di occupazione in provincia di Trento. Non vorrei che qualcuno se ne uscisse con la solita nenia delle grandi aziende che non hanno futuro. È vero esattamente il contrario, se uno va a guardare chi ha aumentato gli occupati sono state le grandi imprese. Purtroppo ci sono settori più complessi e all’intero di questi ci sono aziende che sono riuscite a trovare modelli produttivi e organizzativi che hanno consentito di resistere alla crisi e addirittura ad aumentare l’occupazione, altre no. Questo dipende dagli imprenditori, dai manager, e un po’ anche dalla fortuna.

L’assessore Olivi ha osservato che l’innovazione dei processi produttivi rischia, nel breve termine, di far perdere molti altri posti di lavoro. Condivide l’analisi?

È tutto da vedere, non si può dare una lettura generale. Se un’impresa riesce con l’innovazione a diventare più competitiva e a espandersi sui mercati internazionali, mantiene l’occupazione e la qualifica: si possono perdere posti da turnisti, ma magari si assumono professionisti, ingegneri, chimici, laureati in economia e matematica, e la somma alla fine è positiva. Chi vince la partita è chi fa innovazione e riesce a espandere la propria presenza nel mercato globalizzato. Quello che deve aumentare è la produttività e la qualità dei prodotti e dei processi produttivi. Chi si adegua cresce, chi rifiuta la realtà rischia di essere espulso dal mercato. Bisogna adeguarsi a un mondo che cambia: la casa interconnessa, il frigorifero che dialoga con lo smartphone, oggi sembrano follie ma tra dieci anni probabilmente sarà lo standard.

Lei parlava di responsabilità delle imprese e dei manager. Da industriale sente di dover fare autocritica?

Se il saldo è positivo significa che fortunatamente la maggioranza delle aziende in Trentino ha saputo dare risposte positive alla crisi. Io non posso dare una risposta generale. La critica più grande che mi faccio da imprenditore è che spesso quando le cose vanno bene, uno tende a rilassarsi e a dare per scontato che le cose continueranno ad andare bene. Spesso la reazione avviene quando l’azienda è in crisi ma può darsi sia troppo tardi.

Che tipo di accordo si può trovare quando una multinazionale come Cmi decide di chiudere la sede trentina?

Non conosco i dettagli ma mi pare che la situazione sia talmente compromessa che trovare una soluzione sia difficile. Spero comunque che si possa fare. È chiaro che ci sono settori più complessi di altri per il costo del lavoro: se i prodotti di lusso una volta si vendevano in Italia e oggi invece la domanda si è spostata in Russia piuttosto che in Giappone, allora la localizzazione in Italia diventa un doppio svantaggio, perché è costosa e perché è distante. Certo ricordo che il vicino di Cmi a Mattarello, Armani, sta aumentando l’occupazione.

Nelle ultime settimane si è tornati a parlare anche di Whirlpool, la gestione del piano di ricollocamento è finita sotto accusa perché ci sono 100 lavoratori ancora senza lavoro. Cosa ne pensa?

Mi lasci essere caustico, non vorrei che questo fosse un altro caso voucher: siccome il 5% li ha utilizzati male, si dice aboliamoli. In Germania la formazione di chi perde il lavoro funziona, se ci crediamo possiamo farlo anche noi. Nel caso Whirlpool ha funzionato nella gran parte, cerchiamo di capire dove si può migliorare o buttiamo via tutto? Facile criticare e urlare dicendo che chi fa sbaglia, ma non sento proposte e l’alternativa qual è? Tenere chi perde il lavoro tutta la vita a casa o cercare di reimmetterli nel mercato produttivo?

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