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Il quartiere dedicato al Santo che non c’è

La scoperta del nostro fotografo Dino Panato: San “Bartolameo” non esiste. Ma a lui si ispirano vie ed edifici di Trento


di Paolo Piffer


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TRENTO. Mica può essere solo uno scambio di vocali, una “a” al posto di una “o”. Perché quella zona la conosce bene. C’è cresciuto. Lasciandola solo quando si è sposato. E il quartiere delle palafitte che non ci sono più, che i colpi di benna hanno tirato a terra, si è sempre chiamato San Bartolomeo, anzi, per tutti “San Bortol”. A Dino Panato, fotografo da anni di questo giornale, prima Alto Adige, poi Trentino, quattro Olimpiadi sul groppone e un’infinità di scatti per importanti agenzie nazionali, i conti non tornavano.

In uno dei rari momenti di quiete, tra un servizio e l’altro, intento a sistemare l’archivio si era accorto che diverse foto del suo rione, comprese quelle con i clic dell’inaugurazione della pista ciclabile che porta dallo studentato alla stazione della Valsugana, “figuravano” come storpiate, nel nome, con la “a” al posto della “o”. San Bartolameo invece che San Bartolomeo. Così la cartellonistica della stazione, come quella dello studentato. E come può intuire ogni buon fotografo si era messo le mani nei capelli. “Avrei dovuto rimettere mano a tutti i nomi delle didascalie, un lavoraccio – commenta – Ma non ci volevo credere. Conosco troppo bene quella zona”.

Curioso, Dino Panato, è curioso, se no non farebbe quello che fa e a voluto andare a fondo. E, semmai, se proprio fosse il caso, ammettere lo sbaglio, lo scambio di vocali, il refuso. E porvi rimedio, seppur a malincuore. “Ho scoperto, non sono un esperto, la Rete aiuta – sottolinea – che, tra beati e santi, di Bartolomei, con la “o”, ce n’è una trentina. Compreso un papa. Ma che di San Bartolamei, con la “a” non c’è traccia. Semmai, di Bartolamei, non santi, si trova menzione in un abbecedario pittorico del 1763. Ma sembra sia stato un errore. Tanto da essere corretto in edizioni successive. Insomma, San Bartolameo non esiste, se non a Trento”.

Dove, peraltro c’è una via Bartolomeo di Trento, dalle parti di largo Nazario Sauro, scrittore domenicano del XIII secolo, ma mai elevatosi nell’alto dei cieli e dove il santo, quello “certificato”, uno dei dodici apostoli, la toponomastica della città del Concilio proprio lo ignora. Eppure, oltre allo studentato, al suo bar e alla stazione anche sulla via che porta al piccolo omonimo cimitero, il santo inesistente campeggia.

Qualche motivo ci sarà pure. Possibile che lo sbaglio si sia moltiplicato, che in una sorta di coazione a ripetere, nel corso del tempo, proponenti, esperti, commissioni circoscrizionale e comunale, fino al consiglio comunale che sulla toponomastica mette il sigillo del voto, abbiano perseverato nel refuso, tratti in inganno da chissà quali convinzioni? Vada per lo studentato, un vezzo non si nega a nessuno, ma per il resto? “Un errore – afferma Panato – Proprio un errore. Passi, ma neanche tanto, per la strada e lo studentato ma pure per il cimitero, mi sembra troppo”. Beh, allora, volendo rimestare nel torbido, facendo ricorso alla dietrologia spiccia, lo studentato si trova pure in via della Malpensada… Ride, Panato. “Se la ricorda via Bartolameo Malfatti, con la “a”? – rammenta il fotografo – Anche quello fu uno sbaglio bello è buono. Poi corretto”.

E adesso che si fa? “Ah, non so proprio. Certo che è una stranezza. Magari, perché no?, si potrebbe promuovere Trento come la città del Muse e del santo che non esiste, oppure fare a gara con Padova che di “cose” senza qualcosa ne ha ben tre: il prato della Valle (dove l’erba non c’è), il caffè senza porte (Pedrocchi) e il santo (Antonio) che la gente non nomina mai preferendo dire “andiamo dal santo””.

Più seriamente, basta correggere. Per quanto l’esempio sia un po’ ardito, in quel caso c’erano infatti di mezzo questioni serie. Ha presente il caso di via San Simonino poi cambiata in “del Simonino”? “Eh no – afferma Panato – Perché Simonino è un nome che esiste ma Bartolameo proprio no. In nessun Comune d’Italia c’è qualcuno che sia stato registrato con quel nome. Che dire, sarà stato un errore di trascrizione. Ci sono incappato anch’io durante il militare. Dovevo controllare l’inventario. Ad un certo punto, trovai scritto, come inventariata in magazzino “numero 1 macchina per guardare la luna”. Andando indietro di quindici anni con i faldoni, trovai quello strano pezzo. Originariamente, era stato registrato alla voce “numero 1 macchina per cardare la lana”, diventata, successivamente, “per guardare la luna”. E, per anni, in magazzino risultava esserci uno strano marchingegno rivolto al cielo…. Vuole che una “o” non possa trasformarsi in “a”? Dopotutto, pur sempre di vocali si tratta”.













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