Il legno di Verginer che si è «liberato» da ogni tradizione

Il noto scultore alla galleria Boccanera fino all'1 dicembre



TRENTO. Può capitare che ad uno scultore, il legno, materia del suo lavoro, si ribelli. Può capitare che la materia richieda più attenzione, più consapevolezza della propria esistenza: proprio come aveva fatto Pinocchio con mastro Gepetto. Un materiale, il legno, legato ad una storia ed ad una memoria che affonda le radici nella devozione popolare da una parte e nelle foreste dall'altra, con la conseguente tradizione dello scolpire e dell'incidere. Però può capitare che il legno, materia sempre viva che racchiude al proprio interno le storie del mondo, abbia il forte desiderio di scavalcare i confini mentali e fisici della Val Gardena, sua terra d'elezione.

E poi non sappiamo per certo se questo legno che usa Willy Verginer sia proprio bagnato da uno dei tanti "bach" che scendono dal Rasciesa o dalle piste inquinate del Saslonch. Oppure provenga da qualche altra foresta e trovandosi in questa valle si senta spaesato. Verginer non si accontenta più di scolpire e incidere il legno della tradizione figurativa gardenese. Non più ladina già da qualche generazione, sicuramente omologata ad una figurazione che trova il suo pane e la sua acqua nell'iconografia della pop art, dell'arte popolare. Come è d'altronde la produzione in massa, eseguita con il pantografo, delle migliaia di statue che escono quotidianamente dai laboratori/fucine dei paesi gardenesi. Allora dipinge, stende velature che richiamano la realtà, in modo che l'abbigliamento sia quello che noi incontriamo dietro l'angolo. Ma ancora questo non basta.

Il legno piange, la resina cola, l'ansia si fa strada. Willy Verginer prende la strada della concettualità. Non più sculture isolate ma contesti e ambienti, installazioni e panorami interiori. Lavora di fino sulla superficie, crea trame, decorazioni, giochi illusionistici tra i vestiti e la pelle che uno indossa. Trama deriva da tramare, ovvero ordire. Quello che fa il nostro artista altro non è che il tentativo di ricucire il strappo tra l'uomo e la natura, tra il mondo delle idee e quello della materia. Tra il sacro e il profano. La sua figurazione è lo sforzo di catturare i fili invisibili che ci legano al mondo di sopra ma che i personaggi scolpiti non riescono ancora a percepire, a cogliere. Forse per questo le posture, gli occhi, i visi, le movenze, hanno un qualche, cosa di malinconico, di triste, di disperato.

Parlare di malinconia è un altro modo per ricordare i limiti del libero arbitrio: limiti imposti congiuntamente dagli "altri" e dal mondo in cui si vive (e dalle influenze degli umori avrebbero detto gli uomini rinascimentali). Uomini, donne, bambini, tutti i personaggi dell'artista tengono in mano qualche cosa: un fiore, uno spirito santo, un segno divino o uno profano. Affidano a queste presenze ambigue la speranza che una candela si accenda, che una lampadina sprizzi energia.  Sono persone "sole", inquiete quelle messe in scena alla Galleria Arte Boccanera di Trento da Willy Verginer. La mostra chiude il 1 dicembre, catalogo a cura di Luigi Meneghelli.













Scuola & Ricerca

In primo piano