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Ianeselli: «Il 25 aprile è difesa della democrazia, il fascismo è legittimato dall’indifferenza»

Il sindaco di Trento si schiera contro ogni forma di revisionismo: «Questa giornata è un programma attuale e un manifesto militante, non un reperto archeologico» (foto Daniele Panato)



TRENTO. L’indifferenza legittima le prevaricazioni. Il 25 aprile è un giorno più “d’attualità” che mai, tutto meno che anacronistico. E’ il messaggio lanciato dal sindaco Franco Ianeselli per sottolineare l’importanza della Festa della Liberazione, al centro della cronaca quest’anno anche per le polemiche legate a chi, fra i rappresentanti delle istituzioni, ha dichiarato di voler “stare a casa” rimarcando la propria distanza dalle celebrazioni.

Questo l’intervento integrale del sindaco di Trento: “Per me e forse per molti di voi, il 25 aprile è la festa più bella del nostro calendario civile. Perché non è una celebrazione dai significati vaghi e astratti, ma è anzi il giorno in cui ricordiamo a noi stessi gli obiettivi di una Liberazione che, per la sua ambiziosa radicalità, non può ancora dirsi compiuta. Il 25 aprile è le fine di una guerra sanguinosa, è l’entusiasmo popolare, è la vittoria dei valori democratici custoditi in clandestinità per oltre un ventennio prima dagli oppositori del fascismo, poi dalla Resistenza. Quell’eredità è importante oltre che dal punto di vista storico, per la sua capacità di farci da guida nel presente e da bussola in un futuro denso di incognite. Dunque il 25 aprile è per noi programma attuale e manifesto militante, non un reperto archeologico da rispolverare a ogni primavera.

 

Per sgomberare il campo da equivoci, è bene soffermarci anche su ciò da cui il 25 aprile ci ha liberati ovvero su quel fascismo che oggi, in alcune fasce dell’opinione pubblica, sembra essere diventato un fenomeno pop, con i busti dalla mascella volitiva da mettere in bella mostra in salotto, i cimeli da guardare con simpatia e nostalgia, i saluti romani ridotti a goliardia. Potremmo anche sorridere di questo fascismo de-ideologizzato, se la normalizzazione, se la banalizzazione del regime non sembrasse in molti casi un modo per riabilitare non solo un periodo storico, ma pulsioni antidemocratiche da cui l’Italia non si è mai del tutto liberata.

 

Già Piero Gobetti scriveva che il fascismo è “l’autobiografia della nazione”, espressione di un fondo oscuro, quasi atavico, fatto di retorica, cortigianeria, demagogia, trasformismo. Nel dopoguerra, con la sua prosa ironica e acuminata, Ennio Flaiano identificava il fascismo con i tratti più deteriori dell’italianità e lo definiva “demagogico ma padronale, retorico, xenofobo, odiatore di culture, spregiatore della libertà e della giustizia, oppressore dei deboli, servo dei forti, sempre pronto a indicare negli altri le cause della sua impotenza o sconfitta”. Non è solo un’ideologia quindi il fascismo, ma un atteggiamento servile e insieme prevaricatore da tenere a bada, da cui prendere le distanze ogni qualvolta cerca di prendere il sopravvento, legittimato dalla connivenza o più spesso dall’indifferenza apolitica di chi preferisce non prendere parte né partito.

 

In questo giorno, non possiamo dunque esimerci dal dire che il 25 aprile è la festa dell’antifascismo. Se non ci fosse questa ragion d’essere, la giornata non avrebbe alcun significato. Il 25 aprile è la data in cui ribadiamo in modo pubblico la condanna delle leggi razziali, delle armi chimiche che massacrarono gli etiopi, delle impiccagioni dei partigiani in piazza, della violenza sistematica. Il 25 aprile è la festa delle idee di Giacomo Matteotti, ucciso il 10 giugno di 100 anni fa dalle squadracce di Mussolini per aver osato denunciare in Parlamento i brogli e le violenze delle recenti elezioni. Descritto da Piero Gobetti, Matteotti è l’italiano che “non se la intende col vincitore, che combatte alla luce del sole, che non si arrende alle allucinazioni collettive, che non ha bisogno di chiamare eroismo la sua ferma coscienza morale”.

Alla Liberazione del 25 aprile si arrivò anche a grazie a oppositori intransigenti come Matteotti e Gobetti che neppure per un attimo si fecero incantare dalla retorica fascista. Che combatterono con tutte le loro forze ogni restrizione della libertà: di voto, di stampa, di espressione, di associazione, di dissenso grazie a una sensibilità morale e politica che ancora oggi ci lascia senza parole. Perché negli anni Venti del secolo scorso la sensibilità morale e politica non era gratis, ma si pagava con la morte.

 

Il mandato del 25 aprile è chiaro: vigilare sulla nostra democrazia, impedire che gli spazi di confronto si riducano, che la libertà diventi un’abitudine noiosa da barattare con il presunto carisma di una figura autoritaria. Ma la libertà non basta: come affermò Sandro Pertini in uno storico discorso, “non può esserci vera libertà senza giustizia sociale e non si avrà mai vera giustizia sociale senza libertà” perché “la libertà senza la giustizia sociale è una conquista fragile, che si risolve per molti nella libertà di morir di fame”. Ancora oggi di estrema attualità, queste parole devono ispirare anche la nostra preziosa Autonomia, chiamata alla responsabilità di sperimentare modelli sociali avanzati e inclusivi per garantire a tutti, anche ai più fragili, dignità umana, opportunità, benessere.

 

 

Permettetemi di chiudere questo intervento con un pensiero a quei popoli che ancora lottano per la loro libertà da invasori, tiranni, usurpatori. Libertà dalle autocrazie, dalla barbarie del terrorismo e dalla violenza, che sembra essere tornata prepotente a riprendersi la scena e a reclamare un tributo di vite umane che riteniamo davvero intollerabile. È il caso di ricordare che la nostra Costituzione ripudia la guerra come metodo di risoluzione delle controversie: non a caso, visto che il fascismo è stato fin dalle origini militarista, aggressivo, colonialista. L’Europa democratica, in cui noi tutti ci riconosciamo, ha il dovere di impegnarsi contro quell’escalation dei conflitti che può portare alla distruzione dell’umanità.

A questo proposito voglio ricordare le parole pronunciate dal ministro degli Esteri francese Robert Schuman quando, nel 1950, propose la creazione di una Comunità europea del carbone e dell'acciaio per disinnescare in modo permanente i conflitti tra Germania e Francia: “La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”, affermò Schuman, considerato oggi tra i padri dell’Europa insieme al nostro Alcide Degasperi, ad Altiero Spinelli, a Jean Monnet e a Konrad Adenauer. Visto che i pericoli che ci minacciano sono enormi, gli sforzi e la creatività necessari per arrivare a una pace giusta e duratura dovranno essere smisurati e assolutamente prioritari. C’è anche questo nel mandato che il 25 aprile ha lasciato a tutti noi, italiani convintamente antifascisti”.













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