Gomitata in campo: calciatore condannato
L’attaccante è stata ritenuto colpevole di lesioni e minacce. Chiesto un risarcimento da 18 mila euro
TRENTO. Per la difesa era un contatto legittimo durante un’azione di gioco. Per la procura si chiamano invece lesioni: una gomitata assestata all’altezza dello zigomo quando la palla era ferma. E il giudice Avolio ha accolto la seconda tesi condannando un ragazzo di 23 anni a quattro mesi di reclusione (pena sospesa) e al risarcimento del danno indicando come provvisionale immediatamente esecutiva, la cifra di 5 mila euro. Sul resto deciderà eventualmente il giudice civile. E ci sarà di che discutere: la parte civili, infatti, ha richiesto oltre 18 mila euro.
Dunque una vicenda nata su un campo da calcio della Valsugana, stazione 2012- 2013, campionato di Promozione. La partita è sullo zero a zero e un attaccante (il ragazzo che venerdì è stato condannato) subisce un intervento da parte del difensore (che poi diventerà parte lesa) della squadra avversaria. E la reazione sarebbe stata immediata e minacciosa: «dopo te la caccio». Passano pochi minuti e, in base alla ricostruzione della procura, si compie il secondo reato. Allora, il gioco è fermo perché la palla è nelle mani del portiere che sta studiando il gioco prima di rimettere la sfera in gioco. E sarebbe in questo esatto momento - quindi gioco fermo - che avviene il contatto fra il gomito dell’attaccante e lo zigomo del difensore: grande dolore e diagnosi seria: frattura dello zigomo destro. Prognosi? Quaranta giorni. E la palla - ci sta visto l’argomento - passa alla procura. Che verifica il caso e decide di procedere contro l’attaccante preparando un atto d’accusa con la doppia imputazione: minacce e lesioni aggravate. Si costituisce parte civile il ragazzo ferito. E la richiesta danni è importante. A parte i danni fisici e una certa percentuale di invalidità che è stata considerata permanente dal perito, ci sono i danni morali. E solo quelli a pesare. Su una richiesta complessiva di di18.700 euro, ben 10 mila riguardano il danno morale. Questo perché il difensore ferito, a causa di quanto successo in campo, ha subito un ritardo nella discussione della tesi. E questo ritardo ha a sua volta provocato l’impossibilità per il ragazzo di partecipare al concorso per un dottorato di ricerca. E visto che la tesi - che prevedeva un periodo di lavoro in laboratorio - l’ha conseguita con massimo di voti e lode, era molto probabile che quel dottorato l’avrebbe potuto fare. E gli avrebbe portato un guadagno di circa mille euro al mese.
La difesa dell’attaccante ha sostenuto che il fallo doveva essere considerato come attinente all’attività sportiva perché si stava muovendo per cercare di trovare la posizione migliore per conquistare la palla. E che ciò che è stato letto come una minaccia (ossia la frase «dopo te la caccio») non era la promessa di una lesione ma era riferita sempre al gioco del calcio. E quindi un «te la caccio la palla in rete». Cose che - raccontano le cronache della partita - era effettivamente successa. Per il giudice comunque, nella ricostruzione dei fatti erano ravvisabili sia le minacce che le lesioni e da qui la decisione della condanna.
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