Gioielli Menestrina: la bottega storica chiude dopo 180 anni

La titolare Nadali: «Ci sono giorni in cui non entra nessuno». Affitti folli: «In via san Pietro c’è chi paga 12 mila euro»


di Luca Marognoli


TRENTO. Evelina Nadali scuote la testa: «Capitano dei giorni interi in cui non entra un cliente. E dopo avere pulito per l'ennesima volta i pavimenti, cosa fai?». Due anni fa, nello stesso periodo, l'assessore Fabiano Condini consegnava alla gioielleria Menestrina di via San Pietro la targa di bottega storica. Oggi in vetrina quella targa c'è ancora, ma accanto spicca un cartello molto più visibile, con la scritta “affittasi” in caratteri rossi. Il riconoscimento è forse servito a dare un po' di morale, ma ora anche quello è finito. Abbondantemente. «Già l'anno scorso era in discesa, quest'anno è iniziato malissimo...», dice Evelina, 25 anni di lavoro alle spalle, dal 2008 titolare del negozio. «É finita l'era dell'isola felice: o fanno qualcosa a Roma o siamo alla fame anche noi trentini».

Veder morire una bottega storica è amaro. É una questione anche di simboli: il Comune attribuendo quella targa, ne riconosce il valore storico e, implicitamente, stringe le dita perché passi indenne “la nottata”. Di storia alle sue spalle l’oreficeria Menestrina ne ha parecchia: «Il negozio esiste dal 1835 ed è in questa sede dal 1850: vede che la data spicca anche sul pavimento?», indica la preziosa palladiana veneziana Evelina Nadali. Ma non ci sono pacche sulle spalle che tengano quando i conti non tornano: «Qualcuno entra e chiede informazioni, ma poi ringrazia e se ne va. Molti hanno paura di spendere e qui siamo un po’ più su, come prezzi, del negozio di casalinghi», commenta la titolare.

Oltre alla crisi ha influito anche il mutamento dei costumi. «La lista nozze non si usa più: gli sposi oggi preferiscono metterla nelle agenzie di viaggio. Anche le fedi si vendono meno: c’è persino chi se le fa prestare...».

C’è poi la difficoltà di garantire un ricambio generazionale o trovare qualche volenteroso che decida di rischiare nel bel mezzo della tempesta perfetta della crisi. «La precedente titolare aveva trovato me, sei anni fa. Io avevo fatto esperienza a Trento, da mio cognato, e con mio marito ho un negozio a Folgaria, che si chiama “Oro e arte” come questo e dove ho intenzione di continuare l’attività». L’altopiano è vicino al Veneto e c’è movimento di turisti e persone che vengono da fuori regione. «Anche gli articoli che si vendono sono diversi: lì non si spaventano per il colore e accettano le nuove proposte. A Trento i clienti sono molto complicati: o gli dai quello che vogliono loro, o niente. Anche nell’abbigliamento, va solo il grigio».

Ma la vera, grande differenza tra Folgaria e Trento sono gli affitti: là accettabili, qui impossibili. «Ti chiedono le stesse cifre di Milano, senza rendersi conto che siamo a Trento. E c’è poco da trattare: devi pagare. A me il canone l’hanno appena aumentato di 400 euro. Soldi che non riesci a recuperare. E alla fine arriva il momento che non ce la fai più ad andare avanti. Si chiedono come sia possibile che un orafo non riesca a tirare fuori uno stipendio per sè a fine mese, ma è così: ci sono anche i bollettini da pagare, i contributi...».

Evelina Nadali non ti dice quanto paga ai proprietari dei muri; racconta però le cifre iperboliche che alcuni grandi negozi di via San Pietro sborsano: «Ce ne sono due che ogni mese tirano fuori 12 mila euro». É vero che hanno superfici importanti, ma somme simili fanno capire quale sia il mercato degli affitti sul Giro al Sass e perché i piccoli siano costretti a cedere per lasciare spazio alle grandi catene o ai franchising.

A fondare la gioielleria al civico 64 di via San Pietro fu Vittorio Menestrina. «Proseguì l’attività la nipote, che chiamavano Cicci e vendette poi ai Gambarotta. Loro cedettero alla signora Stefania Puel, che ha tenuto il negozio diversi anni. Sua madre è la proprietaria dei muri e questo rende più facile rimanere sul mercato. Alla fine sono arrivata io».

E toccherà proprio a Evelina Nadali tirare giù la serranda per l’ultima volta, a meno che qualcuno non si faccia avanti. «Chiuderemo a fine giugno, orientativamente. Intanto siamo in vendita promozionale dal 10 al 50%». Ma, con l’aria che tira, neppure gli sconti riescono ad attirare clienti.

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