Francesca Bolzoni torna libera dopo 3 anni
La donna aveva patteggiato la pena per aver ucciso il suo bimbo appena nato. Per i giudici era in una condizione di solitudine. Ora lavora in una coop sociale
TRENTO. E’ tornata in libertà dopo tre anni Francesca Bolzoni Giovannoni, la giovane maestra di scuola materna che era stata condannata per aver ucciso il figlioletto che portava in grembo nel bagno della casa di Cognola che fu della nonna, Ines Fedrizzi. La donna aveva patteggiato una pena di 4 anni. Il reato era stato derubricato da omicidio volontario a infanticidio e così, Francesca ha potuto patteggiare una pena tutto sommato mite. E’ tornata in libertà grazie alla buona condotta. Ora lavora in una cooperativa sociale. L’omicidio risale al giugno 2010. Secondo la perizia del dottor Francesco Bonadiman, eseguita per conto della difesa, sostenuta dall’avocato Giovanni Rambaldi, Francesca sarebbe cresciuta all'ombra del padre, preoccupata soprattutto di dare al genitore un'immagine di sé integerrima, sorridente e forte, sempre in grado di gestire ogni situazione. Una maschera che il frutto inatteso di un'avventura a Santo Domingo, dove da anni vive papà Enzo con la nuova compagna, avrebbe di certo mandato in pezzi. Di qua, il rifiuto di quel bimbo portato silenziosamente in grembo per sette forse otto mesi e la condotta omissiva mantenuta subito dopo il parto. Francesca si sarebbe sentita abbandonata, insomma, e al momento del parto spontaneo, durante una cena conviviale nella casa di famiglia a Cognola, non sarebbe stata nel pieno delle sue facoltà. Uno stato di abbandono che l'accusa prima e poi il gup hanno riconosciuto, accogliendo quanto stabilito da una sentenza della Corte Suprema di Cassazione del 2010, secondo la quale la condizione di solitudine esistenziale in cui versa la donna »le impedisce di ricorrere all'aiuto di presidi sanitari, inducendola a partorire in uno stato di effettiva derelizione». Anche per Francesca, quindi, è stato riconosciuto un disagio soggettivo che, ad un'analisi superficiale, avrebbe potuto non essere riconosciuto dato che la donna poteva contare su mezzi di sussistenza sufficienti. Questo stato di frustrazione, oltre ad altri elementi oggettivi, hanno permesso a Rambaldi di patteggiare 4 anni, partendo da una pena base di 9.
Dopo poco più di tre anni, la donna, che era uscita di prigione da molto tempo e si trovava ai domiciliari, torna in libertà del tutto. Dovrà, però, fare i conti con la tragedia che ha vissuto per tutta la vita. L’avvocato Rambaldi ribadisce che la sua assistita voleva il bambino e non voleva ucciderlo. Per dimostrare questo, il legale ricorda che poco prima dell’omicidio la donna si era rifiutata di sottoporsi a una lastra per una frattura al piede per non danneggiare il feto. L’infanticidio ha segnato la famiglia Bolzoni e molto colpito l’ambiente culturale trentino in cui la famiglia è molto conosciuta.