«Forzare le regole, alla politica in crisi servono più donne»

Lucia Fronza Crepaz: «Siamo una miriade e siamo pronte Borgonovo Re candidata presidente? Un’occasione persa»


di Chiara Bert


TRENTO. Lucia Fronza Crepaz, 57 anni, medico pediatra, sposata e madre di sei figli, è stata parlamentare (per la Dc e il Partito popolare) dal 1987 al 1994 e poi ai vertici del Movimento politico per l’unità, emanazione dei Focolari.

Fronza Crepaz, come ricorda la sua esperienza di oltre vent’anni fa, in un parlamento al maschile?

Mi candidarono perché erano in cerca della famosa candidatura femminile, anche se non credo che mi ci avrebbero messa se avessero saputo che sarei stata eletta. Fu un’esperienza bellissima per me che, pur con una tessera di partito, non venivo dalla militanza ma dall’impegno nel sociale. Una dimostrazione, tra le tante, che siamo all’altezza del compito. Certo c’era anche un aspetto negativo.

Quale?

La nostra preparazione doveva essere sempre maggiore di quella degli uomini, e questo valeva per tutti i partiti. Ma noi facevamo di tutto per essere superpronte. E per la mia esperienza c’è stata una grandissima solidarietà, anche su argomenti difficili, penso all’aborto, dove io cattolica mi confrontavo con la maggior parte delle donne che erano nel Pci. Abbiamo lavorato tanto assieme sui problemi del Paese, il lavoro, l’immigrazione che cominciava. Una trasversalità importante nei partiti che allora erano più «chiese» di oggi, con direttive rigide.

Parlava di donne sottoposte a un continuo esame. Come stavano le cose nella Dc?

Insieme ad altre della mia legislatura, io ho rappresentato un tipo di donna diversa da quella dominante fino ad allora, una donna che doveva nascondere la sua femminilità, e mettere in secondo piano la famiglia e i figli, per farsi accettare. Non era scritto da nessuna parte, ma era come se le donne in politica dovessero essere votate alla politica. Con la mia legislatura siamo arrivate donne sposate, con figli, più curate. E questa è stata una liberazione anche se poi è in parte degenerata. Le donne sono entrate in parlamento come donne con tutto quello che c’è di fantasioso, vivace e colorato nel loro approccio.

A cosa si riferisce quando parla di degenerazione della presenza delle donne nelle istituzioni?

È difficile parlare delle altre, anche perché siamo poche e farci la guerra tra noi è brutto. Ma mi sembra che ci sia stata una chiamata a un’appartenenza, una risposta a una persona, piuttosto che un’esigenza di rispondere ad una chiamata sociale e politica. E questo non lascia un solco per quelle che vengono dopo.

Sulle «quote rosa» il dibattito è sempre stato acceso, in particolare tra le donne. Non è una forzatura arrivare a regolamentare per genere le preferenze, intervenendo nel momento di massima espressione democratica, il voto?

Io penso che oggi è urgente la presenza del profilo femminile nella politica, di una capacità più partecipativa, meno istituzionale, più di condivisione del potere. La politica è così in crisi che bisogna usare dei metodi artificiali, al limite dell’incostituzionalità, finché le donne non ce la faranno da sole. Certo questo va abbinato a un grande lavoro nella società perché le donne abbiano nel loro orizzonte questa vocazione alla politica.

Oggi non è così?

Ne parlavo ieri con mia nuora, che studia per diventare magistrato, e dicevamo che una bambina, una ragazza, vede in televisione una politica tutta maschile, e così non ha la politica nel suo orizzonte.

Un ragionamento che vale anche nelle professioni...

Certo. Ma nella politica io non ho sempre avuto tutti gli strumenti dei maschi, perché per le donne c’è il famoso “tetto di cristallo” che è duro da rompere. C’è una diffidenza che ogni giorno devi vincere e invece la complessità delle domande richiede uno sguardo complesso per rispondere, e i due profili insieme, uomo-donna, sono più capaci. Il movimento dei Focolari ne è un esempio. Noi abbiamo a ogni livello di responsabilità un uomo e una donna. Perchè non immaginare la stessa cosa per i ministeri e nelle presidenze importanti, penso alla Cooperazione?

Lei ha sostenuto una donna, Donata Borgonovo Re, alla presidenza della Provincia. Ma alla fine i candidati alle primarie sono tutti uomini.

È un’occasione persa per il Trentino. C’era una persona preparata, che propone metodi nuovi, la partecipazione come struttura della politica stessa. E perché dietro a lei sono spuntate donne di ogni tipo, età, professione. Questo per dire che dietro la porta c’è una miriade di donne pronte.

E lei, ci pensa a candidarsi alle provinciali?

Ho avuto richieste per le politiche, ma avevo fatto un patto con gli studenti della Scuola di preparazione sociale e l’ho rispettato, anche perché c’erano buoni candidati nel Pd e in Scelta Civica. So che c’è chi scommette che alla fine mi candiderò, ma può scrivere che certamente non lo farò. Ci sono mille modi di fare politica e in un momento di crisi dei partiti è la società che deve dare una grossa mano alla politica. Anche perché i cittadini sono un soggetto politico, che lo vogliano o no. Se sono assenti, mi dispiace per loro.

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