«Fine vita, in Trentino servono regole condivise»

Trento. Dibattito intenso e molto partecipato si è rivelato quello di ieri a Trento, organizzato da Ordine dei medici, FBK per la salute e Apss, su un tema di grande attualità, la recente sentenza...



Trento. Dibattito intenso e molto partecipato si è rivelato quello di ieri a Trento, organizzato da Ordine dei medici, FBK per la salute e Apss, su un tema di grande attualità, la recente sentenza della Corte Costituzionale, la numero 242 del 2019, su fine vita e ruolo del medico.

«Questo incontro, interviene Marco Ioppi, presidente dell’Ordine dei medici di Trento -fa parte di un ciclo organizzato per valutare la sentenza e la sua ricaduta sul piano etico e deontologico del nostro lavoro. Non vogliamo uno scontro ma un confronto per poter conoscere bene il contesto e chiarire il senso e il valore delle nostre scelte in momenti difficili, sempre dalla parte del paziente».

Dello stesso avviso Paolo Bordon, direttore dell’Azienda sanitaria: «I nostri professionisti si trovano quotidianamente di fronte a richieste dei pazienti su problematiche che riguardano questo tema e non devono essere lasciati soli. Le situazioni sono diverse ed è per questo che in Apss stiamo attivando una rete che con il Comitato Etico possa fungere da supporto su questa tematica così complessa. In tutta la provincia dovranno esserci regole e strumenti condivisi».

«Una sentenza inattesa e inaspettata - interviene Luciano Eusebi, professore di diritto penale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano - nella quale è previsto che il malato possa chiedere di interrompere il trattamento salva vita e terapeutico. Ma dobbiamo anche chiederci il perché di questa richiesta e dare una risposta a questo interrogativo.», continua Eusebi. «Ci siamo accorti che nella sentenza il ruolo del medico è marginale, anche se la questione centrale è la non punibilità del professionista che aderisce alla richiesta del paziente, aiutandolo a morire. L’interlocuzione col mondo medico è necessaria e dovrebbe sempre essere prevista” conclude Eusebi “anche se il paziente ha fornito delle chiare Disposizioni Anticipate di Trattamento(DAT)».

«Alla deontologia non si può rinunciare - interviene Gianfranco Iadecola, già magistrato della Corte Suprema di Cassazione - ed è proprio nel Codice deontologico del medico che si trova il divieto a compiere atti che provochino la morte del paziente».

L’intervento di Fabio Cembrani, direttore dell’Unità Operativa di medicina legale di Apss, affronta il problema: «All’interno di un forte dibattito bioetico, nel quale i medici sono stati assenti, sono intervenuti i giuristi ma il ruolo del medico è ben altro. Bisogna affrontare il tema del limite del trattamento e la non colpevolezza del medico, prevista nella sentenza, non obbliga il medico a fare o non fare, gli lascia semplicemente la facoltà di decidere. Sono previsti dei vincoli e dei requisiti sostanziali ma resta aperto il tema della verifica e del controllo sull’atto finale che concretizza l’aiuto medico al suicidio. I cittadini sono poco informati e vale la pena ricordare sempre, in merito ai DAT e al consenso informato, l’importanza della relazione di cura e di fiducia tra medico e paziente nella quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico».

«Nella sentenza è stata superata l’obiezione di coscienza - interviene Pierantonio Muzzetto, della Consulta deontologica nazionale dell’Ordine dei medici - ma è fondamentale l’alleanza con il paziente e la garanzia che questi abbia il supporto delle cure palliative e della sedazione profonda nel fine vita, quando risulti necessario». S.CH.













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