Figli, quando i “No” servono e quando invece è utile l’arte di negoziare
Lo psicologo Giuseppe Maiolo: "Bisogna partire da piccoli, a 3-4 anni, resistere e aprire una contrattazione invece di cedere subito alle richieste. I genitori devono imparare a dire "sì ma"..."
TRENTO. La famiglia di oggi vede adolescenti alle prese con un mondo virtuale di cui gli adulti non comprendono confini e rischi, e adulti che nei loro percorsi di vita si trovano a volte vivere fasi adolescenziali e chiedono consiglio ai propri figli.
I genitori di oggi sono spesso accusati dagli esperti di non saper porre limiti e regole. La strada giusta per chi ha un compito educativo prevede di non perdere l’attenzione alla sfera emotiva, ma rimanere comunque un riferimento autorevole, attraverso l’arte della negoziazione.
Negoziare con bambini e ragazzi consiste nel trovare un compromesso tra le esigenze proprie e quelle altrui, e aiuta a mostrare loro che per il raggiungimento di un obiettivo c’è bisogno di impegno.
Per capire come, abbiamo incontrato Giuseppe Maiolo, psicologo analista e docente di Psicologia delle età della vita all’Università di Trento, che ospitiamo spesso su questa testata. Maiolo dal 22 maggio inizierà un ciclo di quattro incontri proprio dedicati alla genitorialità e, nello specifico, all’arte di negoziare.
È vero che la famiglia di oggi ha perso la sua capacità di dare delle regole, perché si è più orientata alla sfera emotiva?
Sicuramente oggi la famiglia punta molto di più sul piano emozionale e sull’affettività rispetto al passato, ma questo non la fa per forza perdere autorevolezza: occuparsi della vita emotiva dei figli, del loro benessere fisico, psichico, affettivo, relazionale, mentale, non vuol dire rinunciare ad essere genitori capaci di definire regole e limiti ed essere normativi.
Quindi bisogna saper dire anche di no?
Certo. Ha più di vent’anni il celebre libro di Asha Phillips “I no che fanno crescere”, che puntava il dito sull'eccessiva permissività dei genitori, e su questo c’è ancora molto da fare. Ma oggi, oltre a dire dei no, i genitori devono imparare ad attivare dei negoziati e dire “Sì, ma…”.
Cosa significa negoziare?
Significa aprire una contrattazione, trovare un compromesso che vada bene ad entrambe le parti: “Questo è quello che io mi aspetto da te, tu che cosa ti aspetti da me?”. E non solo con gli adolescenti, bisogna partire da piccoli: già con bambini di tre o quattro anni, i genitori cedono subito alle loro richieste, quando invece sarebbe utile resistere e aprire una contrattazione: “Vuoi la cioccolata? È perché hai fame in questo momento? Vediamo che cosa possiamo mangiare, perché la cioccolata non sazia: se hai fame prendiamo un panino”.
Ma i genitori oggi riescono a farlo, o faticano, perché hanno bisogno essi stessi della gratificazione di vedere il figlio contento?
Genitori e figli si dicono l’un l’altro “Che cosa facciamo oggi?”, diventano una squadra, un team, più che una famiglia con una gerarchia. Questo può sembrare una cosa molto positiva, però bisogna fare attenzione a non eccedere. Quando i figli sono adolescenti è normale regredire un po’ alla propria adolescenza, ricordandola, riconsiderando le proprie posizioni di allora. Ma il rischio, quando si hanno figli adolescenti, è di tornare noi stessi adolescenti. Ed è frequentissimo nella mia attività professionale vedere ragazzi che vengono coinvolti nei problemi emotivi delle relazioni tra un genitore e il suo nuovo partner.
Un genitore che abbia avuto un atteggiamento errato come quello che ha descritto, ha modo di cambiare le regole errate che aveva impostato?
Io per atteggiamento mio personale, ancor prima che professionale, dico di sì. Si può sempre recuperare, si possono cambiare i propri valori, i propri registri. Questo naturalmente vale anche per un genitore che abbia commesso degli sbagli. Naturalmente, più andiamo in là col tempo e abbiamo accumulato modalità non corrette dal punto di vista educativo, più è difficile cancellare.
E come si apprende la tecnica della negoziazione?
La negoziazione consente di ascoltare l’altro e di ascoltare se stessi, sentire le ragioni dell’interlocutore e chiedere che vengano ascoltate anche le proprie. Lo strumento privilegiato è sempre comunicare in maniera efficace e ascoltare in maniera partecipata, senza imporsi fin da subito, ma con pazienza. Ed è importante saper apprezzare l’altro, non perdere la fiducia di chi si ha di fronte. Un figlio che chiede di tornare alle cinque della mattina non vuole solo ottenere il suo tornaconto, non lo fa per egoismo: la sua è un'esigenza di essere più autonomo, più libero, mentre io invece voglio che torni presto. Da qui si instaura il negoziato, e se alla fine arriviamo a convenire che le dodici sono un buon compromesso per entrambi, la negoziazione è efficace, una soluzione “win to win”, come direbbero gli inglesi, che soddisfa me e soddisfa lui.
E come può avvenire la negoziazione nelle famiglie separate, quando la trattativa si instaura in due nuclei familiari e in momenti diversi?
È sicuramente un elemento di complessità, ma ciò che conta è che i genitori siano allineati, sia che stiano insieme sia che non lo siano. Se i genitori che non stanno più assieme ma mantengono un rapporto civile e orientato a far crescere il benessere dei figli, allora la cosa può funzionare benissimo. Anche perché le negoziazioni si fanno comunque uno a uno, altrimenti c'è uno squilibrio.
A proposito di temi educativi, di recente Alberto Pellai ha parlato dell’incapacità degli adulti di rispondere ai figli sulle domande sulla sessualità. Cosa ne pensa?
È un tema molto complesso, anche perché oggi i bambini crescono in fretta, in un mondo diverso rispetto a quello dei genitori. Tra i ragazzi oggi la sessualità virtuale ha un ruolo molto importante, di cui gli adulti spesso non sanno niente. Non sono pronti. E allo stesso tempo hanno molta diffidenza rispetto agli specialisti che vogliano parlare di sessualità, anzi i colleghi ricevono a volte attacchi pesantissimi. E ai ragazzi che cercano risposte rimangono solo quindi le praterie del web.
E quale può essere il ruolo di un genitore in questo ambito?
Per un genitore, non è mai stato semplice affrontare i temi della sessualità. Oggi poi il genitore deve acquisire anche una cultura digitale: i loro ragazzi fanno sexting (scambio di messaggi, immagini o video a contenuto sessuale) e gli adulti nemmeno sanno cosa sia. Nella nostra professione incontriamo i bambini della scuola primaria che stanno svegli fino alle due di notte a chattare, e i genitori non lo sanno. Poi magari li dobbiamo curare perché hanno ricevuto sul cellulare video di azioni sessuali di adulti, subendo un trauma del tutto paragonabile a quello di un abuso fisico. Anche perché ormai piano virtuale e piano reale sono molto vicini, soprattutto per loro della generazione Alfa.