l'intervista

Fabio Chesani, 40 anni da medico di base: "Il futuro? Ambulatori di gruppo"

In pensione da gennaio dopo una vita passata tra oltre 1600 pazienti, racconta com'è cambiata la professione: "Ho lavorato anche 12 ore al giorno, sabati e domeniche. Ma capisco i colleghi più giovani che reclamano il proprio tempo. Continuo a credere nell'importanza delle visite a domicilio"

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Ilaria Puccini


TRENTO. «Il medico di base? Una professione che se fatta bene è molto faticosa, e che negli anni ha visto tante e crescenti difficoltà. Ma che a me ha dato anche grandi soddisfazioni».

Fabio Chesani, medico di famiglia, ha esercitato l'attività per circa quarant'anni, di cui 30 a Trento, fino al suo pensionamento lo scorso gennaio, instaurando un forte legame con oltre 1600 pazienti. Dall'esordio come guardia medica alla costituzione di un ambulatorio nel quartiere San Martino (8 medici, 3 segretarie, un segretario e un'infermiera al servizio di 12mila persone) racconta l'evolversi della professione lungo quattro decenni, tra il mutamento dei bisogni dei pazienti, il Covid e la scarsa reperibilità di medici di medicina generale.

Dottor Chesani, ha sentito dell'iniziativa per attirare medici di base lanciata dalla Ulss di Venezia e cosa ne pensa?

La carenza di professionisti purtroppo è diffusa, anche se in Trentino riguarda perlopiù le zone periferiche. Un medico per coprirle dovrebbe aprire 3, 4 ambulatori, che per lavorare richiedono linee internet sempre funzionanti e stampanti già pronte all'uso, due elementi da non dare sempre per scontati. Vanno poi calcolati il traffico e gli spostamenti, già a Trento talvolta è difficile muoversi dal centro ai quartieri periferici.

Come ha visto cambiare il suo lavoro nel corso degli anni?

Il fattore principale è il progressivo invecchiamento della popolazione. I pazienti negli anni si sono fatti anche più attenti ed esigenti e richiedono l'intervento del medico molto più di frequente. Tutto questo ha portato sia ad un aumento delle richieste sia all'appesantirsi del nostro carico di lavoro anche nei suoi aspetti più burocratici.

E si sono allungati i tempi d'attesa.

Secondo me per un appuntamento di medicina generale non si dovrebbe aspettare più di 2 o 3 giorni, ma oggi ci sono colleghi che danno appuntamenti anche a 8, 10 giorni. Io spesso ho lavorato anche 12 ore al giorno, il sabato e la domenica, ma mi considero un caso “anomalo” e capisco anche i colleghi più giovani che reclamano il proprio tempo.

Lei ha sempre creduto molto anche nelle visite a domicilio.

Negli anni tanti pazienti sono invecchiati con me, e spesso ho avuto a che fare con malattie croniche o pazienti oncologici. Ogni settimana in media avevo dai 15 ai 20 appuntamenti a domicilio per visite programmate. Oggi mi pare che questa pratica sia meno diffusa, ma per me resta una componente importante del nostro lavoro perché permette di instaurare con il paziente un rapporto diverso, più profondo.

UCCP, AFT, ora MGI... Tante sigle complicate per dire che per i medici è importante fare rete.

Con la medicina di gruppo integrata per noi è cambiato poco. Con i primi colleghi con cui ho fatto gruppo eravamo già insieme da 27 anni. Dovrebbe essere il modo di lavorare di tutti: permette il supporto di personale di segreteria o infermieristico per gli aspetti amministrativi, lasciando a noi molto più tempo a disposizione per visitare i pazienti. Poi le terapie per certe malattie croniche sono ormai consolidate e la prescrizione dei farmaci è un passaggio veloce, o almeno dovrebbe esserlo.

In che senso?

Ancora oggi ci sono ostacoli di natura burocratica. Numerosissimi farmaci diffusi e sicuri sono ancora sottoposti al piano terapeutico e al registro di monitoraggio e questo rende più difficile l'accesso alle cure.

Forse è anche per questo che oggi la medicina generale è vista come meno appetibile.

Oggi per diventare medico di famiglia c'è un corso di formazione specifica di tre anni, gestito dall'Ordine dei Medici, che segue i 6 della facoltà di medicina. Pensi che fino a qualche anno fa per i 35 posti offerti c'erano state anche 100 domande; ma nell'ultimo anno ci sono state meno domande dei posti a disposizione. Un peccato perché i giovani che scelgono con passione questo lavoro ci sono, ma negli anni ho visto anche chi si è "sgonfiato" perdendo l'entusiasmo e chi ha lasciato cercando condizioni o lavori meno pesanti. Ma io continuo a sperare che si torni a considerare l'importanza della medicina generale perché nonostante la bassa considerazione, il contatto con le persone la rende una delle professioni più belle.

Cosa si può fare per sostenere un servizio così importante?

Sicuramente va sottolineata l’importanza della prevenzione, perché molte malattie croniche possono essere evitate con uno stile di vita più sano, alleggerendo il carico di ospedali e ambulatori. D’altra parte va preso atto della crescente richiesta di sanità e che specie dopo la pandemia le persone sono spaventate e per ogni piccola cosa si recano dal medico. Poi sono aumentate le richieste legate a disturbi di ansia e depressione e i colleghi del Centro di Salute Mentale sono bravi ma in pochi. E i pazienti vengono da noi.

Non sarebbe una brutta idea introdurre anche uno psichiatra o uno psicologo in ambulatorio.

Non sono le uniche figure a mancare, servirebbero anche radiologi, cardiologi ed ecografisti. Nel nostro ambulatorio facciamo elettrocardiogrammi da 20 anni, stare in gruppo permette anche di condividere conoscenze e dare opportunità di imparare la diagnostica di base a chi è interessato. Con il Pnrr a livello nazionale sarebbero inoltre previsti 200 milioni di euro per l'acquisto di strumentazione, ma non mi risulta che questi apparecchi siano ancora arrivati... Forse c'è stato qualche intoppo burocratico.

Sempre al Pnrr si lega il progetto delle "Case di Comunità", per lasciare la cura delle malattie acute agli ospedali.

Negli scorsi giorni il ministro Schillaci ha propsettato l'idea di integrare i medici di base in tali strutture, significherebbe passare da un contratto di lavoro convenzionato a uno di dipendenza vero e proprio. Se da una parte per me medico potrebbe essere molto più comodo, è un passo che inevitabilmente porterebbe a una spersonalizzazione del rapporto diretto tra medico e paziente, che deve restare alla base di questa professione.

 













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