Docente lesbica allontanata? "Siamo una scuola cattolica"
La madre superiora del Sacro Cuore ora ammette: "Valutazioni morali per tutelare i nostri mille studenti"
TRENTO. «Le ho detto che ho sentito queste voci e che speravo fossero solo voci, perché devo tutelare l’ambiente scolastico. Dovendo scegliere un insegnante per una scuola cattolica, devo fare anche valutazioni dal punto di vista etico morale. Qui ci sono mille studenti. Il problema sussiste, la scuola cattolica ha una sua caratteristica e un insieme di aspetti educativi e orientativi: a noi sembra di doverla difendere a tutti i costi». Eugenia Libratore, madre superiora dell’Istituto Sacro Cuore, parla alla rubrica «La 27ora» del Corriere della Sera dopo la bufera scoppiata sul mancato rinnovo del contratto a una docente sospettata di essere omosessuale.
«Allontanata perché lesbica», ha denunciato l’insegnante, sostenuta dai comitati trentini della Lista Tsipras che hanno reso pubblico l’episodio. Fino a ieri la scuola aveva parlato solo tramite comunicato, replicando alle accuse e adducendo a «esigenze di bilancio» il mancato rinnovo dei contratti a termine. Decisamente diversa la versione data al Corriere, che di fatto conferma la versione sostenuta dall’insegnante.
La docente si è rivolta alla Cgil per tutelare i suoi diritti. Dura l’Arcigay, che ha chiesto alla Provincia di esigere spiegazioni «da una scuola paritaria finanziata con denaro pubblico». Il presidente Ugo Rossi, che è anche assessore all’istruzione, si è chiamato fuori: «Se mi arrivasse una segnalazione la approfondirei, ma al momento ho appreso la questione solo dai giornali». È invece intervenuta con parole nette l’assessora provinciale alle pari opportunità Sara Ferrari:
«L’ordinamento italiano vieta licenziamenti discriminatori basati sull’orientamento sessuale del lavoratore. Se il mancato rinnovo, come sostenuto dall’insegnante, fosse basato su un orientamento che attiene a una sfera personalissima, sarebbe grave». Ma Ferrari aveva anche sottolineato l’importanza «che le dichiarazioni della superiora del Sacro Cuore giustifichino l’accaduto esclusivamente per motivi di riduzione di organico». Scenario cambiato dopo le dichiarazioni di madre Eugenia Libratore alla giornalista del Corriere Elena Tebano. Il sito della «27ora» riporta anche il racconto della docente, che conferma la sua versione già riportata dal «Trentino»: «Dalla madre superiora mi sono stati rivolti numerosi apprezzamenti per il mio lavoro, ma il "problema", come lo ha chiamato lei, erano le voci che giravano sul mio conto. In breve ho capito che il "problema" era legato al mio orientamento sessuale, e che mi veniva richiesto di smentire queste voci. In cambio, la scuola avrebbe "chiuso un occhio" sulla mia situazione. A questo punto mi sono arrabbiata, non mi aspettavo certo un colloqui così surreale. Mi è stato chiesto se è vero che ho una compagna. La direttrice ne parlava come se fosse del tutto normale entrare in questo genere di dettagli».
Sul caso intervengono anche le Famiglie Arcobaleno: «Se vuoi uccidere una persona, privala del lavoro», scrivono in una nota pubblica ieri da l’Unità. «In una Repubblica democratica fondata sul lavoro, non rinnovare l'incarico ad una persona per la sua presunta omosessualità rappresenta l'equivalente simbolico di un'esecuzione dopo processo sommario e stupro. Questo è richiedere di intraprendere un percorso riparativo ad una lesbica, vera o presunta, con il ricatto occupazionale. Non esistono persone “guarite” dall’omosessualità, fanno notare dall’associazione che riunisce le famiglie omosessuali, così come non esistono terapie “riparative”, visto che non esiste la malattia». Quello che si sarebbe verificato, secondo Famiglie Arcobaleno, è una vera e propria violenza psicologica. E chiedono al ministro dell’istruzione Stefania Giannini di intervenire «per restituire all'insegnante offesa la sua dignità di persona».
All’attacco anche i comitati Tsipras, che alla luce degli ultimi sviluppi chiedono un intervento del presidente della Provincia e dell’assessore alle pari opportunità: «La nostra versione dei fatti oggi viene avvalorata anche dalle dichiarazioni della madre superiora, che invece in un primo momento aveva addotto motivazioni di mero termine del contratto di lavoro. A maggior ragione si è trattato di un caso di discriminazione sessuale, aggravato anche da un’ulteriore violazione di legge, quella sulla privacy».