Credito, le banche chiudono la porta

Un imprenditore e quattro «no» al prestito. Nardelli: «Peggio che nel 2008»


Roberto Colletti


TRENTO. Quattro banche e quattro no: "la sua attività è a rischio...", "non sosteniamo queste iniziative...", "la sua azienda è fuori zona..." o, più brutalmente, "non ci sono soldi". Tanti i dinieghi che in questi giorni un imprenditore s'è sentito opporre alla richiesta, non straordinaria, di un prestito di 300 mila euro, coperto da garanzia Confidi al 50 per cento.

E' il preoccupante segnale di un credito che, certamente più caro, sta diventando sempre più raro. "Non è questione di tassi alti, oggi il problema è trovare la banca disposta a finanziarti" confida un operatore. La crisi non è finita, si dice, c'è bisogno di una ripresa. Certamente è così, ma senza credito l'orizzonte s'allontana ancor più. E' questo il nodo che grava sulle imprese, anche quelle trentine.

All'inizio dell'anno c'era la speranza che l'economia, pur a fatica, stesse per superare la recessione 2008-2010. Poi è scoppiata la crisi dei debiti sovrani. E la prudenza, meglio la diffidenza, è tornata a dominare il mercato interbancario, là dove il credito si alimenta. «La situazione oggi è peggiore di quanto non fosse nell'autunno 2008, dopo il fallimento Lehman Brothers» dice Paolo Nardelli, direttore della Cooperativa Artigiana di Garanzia, 5.600 soci, 190 milioni di finanziamenti garantiti «i nostri imprenditori fanno fatica ad ottenere credito».

«Il costo del denaro è destinato ad aumentare» conferma Sergio Anzelini, direttore di Confidimpresa, l'ente garante per l'industria ed il terziario «e sopratutto le banche applicano criteri sempre più selettivi nel concederlo».

Se il "repricing" - lo spread applicato ai mutui erogati alle imprese - nel resto d'Italia raggiunge mediamente l'8% sull'euribor (con punte superiori) in provincia siamo a livelli più bassi. Ma non durerà. Le convenzioni con i confidi provinciali che oggi prevedono ancora tassi finali dal 3,50% sino al 5% a seconda del grado di solvibilità assegnato all'impresa, sono destinati a crescere. Le richieste di revisione sono già state inviate.

Del resto quando le grandi banche fanno provvista al 4% o, addirittura, come nel caso del suo ultimo bond da 750 milioni con scadenza a 6 anni, Unicredit paga il 6% nei primi tre anni e nei restanti l'euribor maggiorato dell'1,10%, come pensare che esse vendano il denaro a tassi inferiori? Insomma, non c'è scampo. Nessuno ha voglia di gridarlo, ma l'aria è quella di un nuovo credit crunch. Solo così, per portare un esempio tratto dalla quotidianità, si può spiegare il diniego alla richiesta di un mutuo di 30 mila euro assistito da garanzia ipotecaria in una regione con le sofferenze più basse d'Italia. Nemmeno la disponibilità dei "muri" allenta la stretta.

Il sistema del credito, anche quello trentino, sembra aver raggiunto un punto critico. Per ragioni generali, anzitutto, che riguardano tutte le banche: attivi pieni di titoli di debito pubblico oggi valutati rischiosi, spinta al rafforzamento patrimoniale, provvista costosa. In Trentino, poi, le Casse Rurali che si sono - "virtuosamente" dicono i Confidi - impegnate nella prima fase della manovra anticrisi varata dalla Provincia nel 2008-2009 per la ristrutturazione dei debiti delle aziende, finendo per erogare quasi il 90% della prima tranche di 350 milioni di finanziamenti destinati alle piccole imprese, oggi hanno quasi saturato - sono al 96,85% - il rapporto raccolta-impieghi. Hanno un robusto patrimonio, è vero, ma il costo del denaro fresco è alto anche per loro. Le banche di dimensione nazionale, poi, hanno equilibri ancor più complessi da rispettare e nonostante le cicliche promozioni di "plafond territoriali" la realtà è semplice e dura: credito più caro e, sopratutto, più raro.













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