Ciao don Dante, Trento ti porterà nel cuore

Il «prete degli ultimi» celebrato come un vescovo nel suo ultimo viaggio In Duomo fedeli d’ogni età e ceto accomunati dal rispetto per un grande uomo


di Giorgio Dal Bosco


TRENTO. In quel “Regno-premio” dei credenti che è il paradiso don Dante ci doveva entrare seduto in carrozza ad … “amor di popolo”. Invece, ci è entrato - ne siamo certi – lentamente, trascinando i piedi dentro i calzari di cuoio sopra i calzini grossi di lana, e, appoggiandosi sul bastone, alzando ogni poco lo sguardo da terra per guardare avanti per riabbassarlo subito dopo con quegli occhi severi ma umili che spiccavano sopra la folta e bianca barba. Chissà se mai è stato contento che il suo ultimo viaggio abbia avuto la cornice così importante del Duomo, sotto le sue navate, con presidenti e sindaci, con una serie di telecamere e uno stuolo di fotografi, in mezzo alla gente di ogni ceto sociale, di ogni cultura, di ogni età che straripava dai banchi e dalle navate e laterali già da un’ora prima dell’inizio della funzione funebre, che ha applaudito anche se lui, allergico al protagonismo e alla scena, non avrebbe mai voluto.

Strano, stranissimo: è stato un funerale, quello di ieri pomeriggio, che per intensità d’emozioni, per partecipazione, per sacralità del luogo, poteva essere attribuito soltanto a un vescovo, anzi, a un principe-vescovo. Invece, è stato attribuito a un sacerdote cui, per incontrarlo, non si doveva chiedere appuntamento e fare anticamera. A Punto d’Incontro bastava andarci, bussare, entrare e sedersi e aspettare un piatto di pasta. Certo, però, che don Dante non è stato vescovo, ma, principe, quello sì che lo è stato: principe della povertà e dell’amore per il prossimo diseredato, poveraccio, qualsiasi esso fosse tossicodipendente o alcolista.

Mentre la gente, un’ora prima dell’avvio della funzione sacra, sfilava commossa per spargere su quella bara coperta di fiori bianchi l’acqua santa e, taluno, non riuscendo a trattenere qualche lacrima, abbiamo pensato che questo prete è entrato di diritto nella storia cittadina, sia quella civile e di costume che quella ecclesiastica. Vi è entrato a pieno diritto – lo scriviamo a beneficio dei lettori più anziani e dei giovani– e si è accostato, seppure per tutt’altre ragioni, a don Bruno Vielmetti, amico di tanti giovani, popolare, insegnante carismatico, a don Evaristo Bolognani, anche lui, come don Dante, prete dei poveri, a don Vittorio Pisoni, l’antifascista, amico dei suoi studenti, promotore della associazione studentesca Juventus. E poi a don Onorio Spada e a pochi altri … Ecco - abbiamo pensato - la Chiesa da molto tempo non esprimeva più una figura così carismatica, magari scomoda, involontariamente controcorrente e, quel che più conta, lontana anni luce dal protagonismo. Sarebbe stato felice don Dante di questo funerale? Felice sicuramente per l’affetto dimostrato dai suoi tanti ospiti amici della strada, felice che le istituzioni senza se e senza ma abbiano riconosciuto che c’è tanto da fare impegnandosi indirettamente a far proseguire la sua missione. C’erano sia il presidente della Giunta provinciale Alberto Pacher che il sindaco di Trento (fasciato con il tricolore) Alessandro Andreatta, il questore dottor Giorgio Iacobone e il vicesindaco di Lavarone, paese natio di don Dante, Alessandro Marchesi, l’assessore Ugo Rossi all’ ex parlamentare Schmid, da Enrico Bolognani ai tanti dirigenti dell’associazionismo come Paolo Cavagnoli (Associazione provinciale per i Minori) che aveva con sé Arturo Caumo (l’ex clochard). Sull’altro lato dei banchi i parenti e i collaboratori più stretti. C’era la nipote Elda con la figlia Lorenza. Più di venti i sacerdoti celebranti che facevano corona al vescovo, tra cui tre nomi di spicco: don Ciotti, don Iginio Rogger e don Cristelli, tre figure importanti, ciascuna delle quali, il primo come autentico combattente, il secondo teologo e uomo di straordinaria cultura, il terzo come testimone e compagno di lotta dello stesso don Dante, hanno sintetizzato con la loro presenza lo spessore della figura di don Dante, prete che sarebbe estremamente riduttivo definirlo semplicemente controcorrente. Don Vittorio Cristelli ne ha tracciato la biografia sottolineando quell’aspetto, emerso soprattutto a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, anche di lottatore per i lavoratori e per i loro diritti. E poi al microfono hanno invocato da lassù l’aiuto di don Dante i tanti poveracci e i suoi collaboratori perché la sua opera possa continuare. Particolarmente intenso è stato l’applauso allorché un ragazzo arabo ha letto nella sua lingua il ringraziamento di chi l’aveva preceduto. Il presidente Alberto Pacher e il sindaco Alessandro Andreatta hanno riconosciuto l’importanza politico-sociale della sua coraggiosa scelta di vita, un insegnamento per tutti anche e soprattutto per le istituzioni. Il vescovo, infine, con parole commosse nel leggere pubblicamente una vecchia lettera che gli aveva indirizzato proprio don Dante gli ha dato l’estremo saluto in un intenso profumo di incenso.













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