Chico, l’ultima battaglia è affidata alla diplomazia

Lo zio Gianni Forti: impossibile ogni via giudiziaria, la palla passa alla Farnesina: «Forse la mobilitazione dello star-system costringerà i politici a fare qualcosa»


di Paolo Morando


TRENTO. Twitter, Youtube, le televisioni. E Fiorello, Red Ronnie, Jovanotti. Cresce la mobilitazione per Chico Forti, il trentino da anni detenuto in un carcere della Florida dove, al termine di un processo pieno di ombre, sconta l’ergastolo per un omicidio di cui continua a dirsi innocente. Ed è una mobilitazione che Gianni Forti, lo zio che da sempre si batte per farlo tornare in libertà, osserva con speranza. Anche se sa bene che non sarà facile riuscire nell’impresa. Che dal piano giudiziario, che ormai non lascia più alcuno spiraglio, si è definitivamente spostata su quello della diplomazia. Dove le ragioni della giustizia devono fare i conti con quelle, complicate e spesso indecifrabili, dei rapporti internazionali.

Forti, come mai questo cambio di strategia?

Finora avevamo mosso tutti i passi che la legislazione statunitense ci consentiva, cercando di tenere viva l’attenzione dei media sul caso. Il problema è che ora abbiamo esaurito tutte le vie forensi. Ci siamo sempre trovati di fronte una Corte che, senza discussioni, bocciava tutti i nostri tentativi. Poi, un paio d’anni fa, in modo fortuiti abbiamo conosciuto la criminologa Roberta Bruzzone, che si è appassionata alla vicenda: ha visitato Chico in carcere e ha assunto tutte le informazioni. Ora sta stendendo un rapporto su come si sono svolti realmente i fatti, e che documenta le carenze del processo.

Questo rapporto verrà presentato nei prossimi giorni al ministero degli Esteri. Spieghiamo il passaggio: che cosa può fare la Farnesina?

Il nostro ultimo ricorso giudiziario è stato respinto per scadenza dei termini. Ma in ogni passaggio la giustizia americana ci ha fatto perdere mesi, quasi lo facessero apposta. Il punto è che il caso non può essere riaperto, perché definitivamente passato in giudicato. Non ci sono insomma spazi per revisioni del processo. Quindi dobbiamo agire per via politica.

Esistono dei precedenti favorevoli?

Nessuno. L’unico è quello di Silvia Baraldini, pure condannata per omicidio: benché non avesse sparato, faceva parte del commando che si rese responsabile di un delitto. Per lei l’allora governo D’Alema si fece in quattro e ottenne la possibilità di scontare la pena in Italia invece che negli Usa. Ma era rea confessa. Il Consolato, per vie traverse, ci ha fatti capire che ci si poteva muovere in questa direzione, chiedendo il trasferimento di Chico. Ma una scelta di questo tipo comporterebbe un’ammissione di colpa, che chiuderebbe la strada per sempre a ogni altra rivendicazione di carattere legale. Chico non vuole questo: è innocente e continua a sostenerlo. Senza dimenticare che, avanzando una richiesta del genere, non si avrebbe comunque alcuna garanzia su una risposta positiva: sarebbe come mettere la testa di Chico sul ceppo dei giudici della Florida.

Su che cosa farà leva il rapporto della Bruzzone al ministero?

Partendo dal presupposto che la Farnesina non può interferire con l’operato della magistratura statunitense, l’unica possibilità è appunto politica: dimostrare con documenti inoppugnabili che nel corso del processo Chico è rimasto vittima di regole sbagliate e procedure manipolate. In definitiva, che i suoi diritti sono stati violati.

Avete già qualche segnale informale dal governo?

Due settimane fa la Bruzzone e Ferdinando Imposimato, l’ex magistrato che ora è di fatto il legale italiano di Chico, hanno avuto contatti con il ministero della Giustizia. Ci è stato assicurato che il ministro Severino si farà carico della questione ai primi di giugno, quando si recherà in visita ufficiale a Washington. Ma al tempo stesso ci è stato detto che il loro dicastero non è competente e che è necessario un passo della Farnesina. Che interesseremo formalmente nei prossimi giorni.

Crede che la mobilitazione che sta coinvolgendo personaggi dello spettacolo possa “pesare” in positivo?

La verità è che non abbiamo più molte carte da giocare. E che ognuna è buona, se può servire a tirare fuori Chico da quel maledetto carcere. Il fatto è che i nostri politici si muovono solo se pungolati dal sistema mediatico, che può metterli alla berlina nel caso in cui non si occupano di determinate vicende: forse così possono essere stimolati ad attivarsi su questa incredibile vicenda.

Resta il fatto che dovete contrastare una sentenza passata in giudicato, emessa da una Corte legittima.

Non è facile, certo. Anche perché in Florida, oggi, le stesse persone che hanno condannato Chico sono ancora tutte al loro posto e da lì si deve passare. Dobbiamo andarci con i piedi di piombo. Perché Chico intanto è là, nel “gabbio”. E in quel carcere la situazione non è diversa da quella di 80 anni fa raccontata in tanti film.

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