Camicie verdi a giudizio a VeronaCi sono anche i trentini Savoi e Bacchin
L'accusa è di aver costituito un'associazione militare con scopi politici
TRENTO. A giudizio le camicie verdi. Con l’accusa di aver costituito un’associazione militare con scopi politici vanno a processo 36 fedelissimi del Senatur Umberto Bossi. Lo ha deciso il gup di Verona Rita Caccamo. Tra questi due trentini, il capogruppo del Carroccio in Consiglio provinciale Alessandro Savoi e il rivano Francesco Bacchin.
Il rinvio a giudizio arriva a tredici anni dall’avvio dell’inchiesta da parte del procuratore di Verona Guido Papalia. La prima udienza si terrà il primo ottobre. Dei 46 indagati originari, 10 se ne sono persi per strada perché sono deputati o senatori e per loro non è stata concessa l’autorizzazione a procedere. Così sono usciti di scena big come Umberto Bossi, Roberto Maroni e Roberto Calderoli. Usciti di scena i generali, è rimasto qualche graduato come il sindaco di Treviso Gianpaolo Gobbo o come il trentino Alessandro Savoi. Molti i soldati semplici come il rivano Francesco Bacchin che all’epoca era alla testa delle camicie verdi trentine. Il nome ufficiale era quello di Guardia nazionale Padana. Vennero fondate ufficialmente a Venezia nel 1996 con un giuramento in grande stile in Riva dei Sette Martiri. Il procuratore di Verona Papalia aprì un’inchiesta ipotizzando reati da far tremare i polsi. Il più grave era quello di attentato all’integrità dello Stato, punito con pene fino all’ergastolo, ma c’era anche l’attentato alla Costituzione. In questi tredici anni numerosi interventi legislativi hanno fatto in modo che quei reati non fossero applicabili alle camicie verdi per mancanza di azioni violente.
Così, la montagna delle accuse iniziali ha partorito il topolino dell’imputazione finale. Si tratta del reato di costituzione o partecipazione a un’associazione di carattere militare con scopi politici previsto da una legge del 1948. A ottobre le camicie verdi potranno difendersi