agricoltura

Calo d’interesse per il «bio»: è la prima volta dopo anni

Le aziende biologiche in Trentino sono oltre 1300, ma per la prima volta si registra una diminuzione. Tra le cause i maggiori costi di produzione senza aumenti di prezzo sul mercato


Carlo Bridi


TRENTO. Le aziende biologiche in Trentino, secondo i dati comunicati dall’Ufficio agricoltura biologica della Provincia di Trento, sono oltre 1300, ma per la prima volta dopo anni si registra un calo d’interesse per le produzioni biologiche da parte dei produttori, calo dovuto secondo il dottor Diego Bleggi, responsabile dell’Ufficio provinciale del comparto, a diverse cause. Innanzitutto al fatto che in sede d’insediamento viene concesso un contributo per il sostegno dei costi di gestione della certificazione, che però viene a cessare dopo 5 anni, altro motivo va ricercato nei maggiori costi di produzione ai quali negli ultimi anni non ha fatto riscontro, almeno per quanto riguarda il comparto frutticolo, un adeguato aumento dei prezzi al consumo. Ma non solo, anche la produzione ad ettaro è cambiata con l’introduzione del biologico, spiega Aldo Zadra frutticoltore bio di vecchia data a Nave San Rocco, considerato che sui meli bio non si possono usare i diradanti chimici e che prima che si possa fare il dirado manuale ci devono essere i frutticini. «A quel punto si è già verificato l’induzione a fiore per l’anno successivo senza che le gemme abbiano potuto beneficiare dell’avvenuto dirado, di conseguenza si rischia di avere una produzione ad anni alterni» prosegue Zadra.

Ma l’aspetto più delicato è quello del mercato. Siamo arrivati al punto che parte delle mele biologiche per poterle vendere sono state declassificate da biologico a prodotto integrato. Questo allentamento della domanda in presenza di un aumento dell’offerta crea, com’è logico in un mercato libero, una riduzione dei prezzi mentre i costi rimangono alti. A questo punto il problema più urgente è quello del quale si parla nel Piano di azione nazionale che dovrebbe essere approvato a breve. Il documento all’esame parte dalla constatazione che il consumo di prodotti biologici secondo le ultime analisi di mercato è in diminuzione. «Quindi se aumentiamo le superfici e non i consumi, il reddito per gli agricoltori è compromesso. Per questo uno degli obiettivi del Piano di azione nazionale è quello di attivare una serie di iniziative con la finalità di riportare i consumi in linea con la disponibilità di prodotto. C’è la necessità di far comprendere meglio cos’è un prodotto bio, come viene realizzato e come funziona il sistema di controllo». Ad affermarlo è Giuseppe Romano presidente di Aiab, l’associazione nazionale dei produttori biologici nata nel 1998 e costituita da produttori, tecnici e consumatori. Si punta, prosegue Romano, sulla costituzione di organizzazioni interprofessionali di settore, come previsto del resto dall’art.14 della legge sul biologico di recente approvazione, per ottimizzare la filiera produttiva con l’obiettivo di arrivare sul mercato più efficientemente rispetto a quello che succede ora. L’uscita delle aziende biologiche dalla certificazione, fenomeno che si registra sia a livello locale che nazionale, pur rimanendo fedele ai principi dell’agricoltura biologica è un aspetto che il Piano nazionale dovrebbe assolutamente dirimere, afferma la Fondazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica. Essa prende atto che i problemi legati alla burocrazia nel bio sono tangibili, e non riguardano solo aspetti tecnici ma anche le carte da compilare. Analisi del problema questa condivisa anche da Bleggi. Spesso, concordano tutti gli analisti, siamo in presenza solamente e meramente di atti documentali e formali.

Problemi stanno sorgendo anche nella viticoltura bio ricorda Bleggi, la recrudescenza della flavescenza sta preoccupando molto i viticoltori e il non poter intervenire puntualmente a causa del regolamento bio è un grosso problema.

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