«Bio è bello ma costoso Un obbligo consorziarsi»

Giustino “il contadino” spiega: «Servono grandi quantità, solo i big resistono» La spinta dei produttori c’è, ma manca un organismo per smistare i prodotti


di Silvia Siano ; di Silvia Siano


TRENTO. Piccola, parcellizzata e diversificata: in Trentino la produzione del biologico non supera il 10%. Ed è spesso l’ultima spiaggia alla quale le aziende agricole approdano per evitare la chiusura. «Ormai quasi tutte le imprese agricole – racconta Giustino Margoni, alias Giustino “il contadino” – hanno riconvertito in tutto o in parte le loro produzioni, votandosi al biologico». Ma sostenere la scelta non è affatto semplice, perché se da un lato rispetto al passato, i consumatori dimostrano più sensibilità ed interesse per i prodotti cento per cento naturali, dall’altro i produttori devono fare i conti con disciplinari stringenti da osservare e con il mercato. «Produrre biologico – dice l’imprenditore - significa non avere nessuno vicino che utilizza i criteri tradizionali. Bisogna avere aziende isolate, i controlli sono rigidi e diversificati, ogni anno ci sono nuove regole». E poi servono denari.

«Chi si avvicina adesso al biologico ha bisogno di grandi investimenti – prosegue Giustino – soprattutto in una regione come la nostra che è sì ideale dal punto di vista climatico, ma per conformazione geografica ha piccole metrature da sfruttare. Solo le grandi aziende possono sopravvivere, quelle di piccole dimensioni devono necessariamente consorziarsi o associarsi per andare avanti».

Anche perché il mercato del terzo millennio si è fatto più esigente. «Per produrre il biologico – puntualizza l’imprenditore - servono grandi quantità, il mercato non richiede più qualche cassa, ma pedane di prodotti. E per sopravvivere bisogna esportare fuori dal Trentino, in altre regioni italiane e fuori dai confini nazionali».

Tre cose mancano al Trentino per la medaglia cento per cento bio: un’organizzazione di vendita, il turn-over generazionale, una politica spinta al consumo di prodotti non trattati chimicamente. «Lo spirito di produrre biologico non manca – continua Giustino – ed anzi rispetto al passato c’è maggiore controllo, ma purtroppo manca un organismo centralizzato che possa fare da punto di riferimento per lo smistamento dei prodotti. E mancano occasioni di vendita importanti per i piccoli produttori. Penso ad esempio ai pasti nelle scuole e negli ospedali, che rappresentano importanti opportunità di business di solito riservati a grandi produttori. Poi manca il ricambio generazionale, penso al consorzio della Val di Gresta che al 99% produce biologico. E’ costituito da ultrasettantenni e sarà costretto a chiudere se non ci saranno nuove forze a prendere il loro posto».

Chi produce bio, secondo l’imprenditore, non lo fa per arricchirsi quanto per una scelta personale di vita, di rispetto per gli altri e per l’ambiente. «Lo dimostra il fatto – continua Giustino – che l’azienda agricola per sopravvivere deve diversificare con vendita al minuto, all’ingrosso, con l’agriturismo e la fattoria didattica».

Ma che cosa manca al Trentino per diventare 100% biologico? «Serve una politica più attenta che obblighi a non utilizzare prodotti chimici e servono scelte più consapevoli da parte della popolazione, perché per vivere più a lungo bisogna mangiare cose di stagione, insomma mangiare sano».

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