«Attenti: la vita non è lo smartphone» 

L’arcivescovo scuote i fedeli nell’omelia al cimitero: «Le lacrime di dolore per il distacco della morte devono essere di speranza»


di Daniele Peretti


TRENTO. " La festa di oggi è una contestazione poderosa al sistema tecnologico - finanziario diventato una sorta di " nuova religione". Esso vorrebbe chiudere gli uomini dentro lo schermo di uno smartphone e in una frenetica ossessione operativa, dove gli unici obiettivi sono i freddi numeri dell'economia. Un simile scenario non contempla dinamiche relazionali fatte di spazi gratuiti e di autentica convivialità". E' questo il passo conclusivo dell'omelia dell’arcivescovo, ieri alle celebrazioni di Ognissanti al cimitero di Trento, un passo pronunciato con una veemenza e passione tale da sembrare quasi più un comizio che una predica. Si perché monsignor Lauro Tisi ha cercato di scuotere i fedeli da quell'alone di tristezza che accompagna una visita al cimitero: " Qui si versano lacrime di dolore per il distacco, ma che invece devono essere di speranza perché l'ultima parola non è della morte, ma appartiene alla vita". E i fedeli sono rimasti sorpresi da questo modo di fare, da quel suo fermarsi a salutare persone normali, ma anche bambini e anziani. Ed alla conclusione della cerimonia l'inusuale processione attraverso il viale che unisce i due campi cimiteriali, per una benedizione, data passo dopo passo, sosta dopo sosta per lasciare una parola di conforto ai fedeli che facevano ala. E poi sul sagrato delle camere mortuarie un ultimo concetto: "Se voi siete qui oggi così numerosi vuol dire che Trento è una città viva che può contare su persone sane che hanno lacrime e compassione e per questo è una città che ha un futuro". Interessante osservare le reazioni dei fedeli di tutte le età, quasi sorpresi da un nuovo modo di proporsi, spontaneo, ma coinvolgente tanto che in certi momenti si aveva l'impressione che potesse scattare anche l'applauso. In pratica di comune con gli altri anni c'è stato solo il momento iniziale quando i sacerdoti concelebranti, hanno atteso Monsignor Tisi all'ingresso del campo della Chiesa. Da li sarebbe dovuto partire un corteo con l’arcivescovo in testa , fino alla scalinata del sagrato. Sarebbe perché Monsignor Tisi si è subito staccato per andare tra la gente a stringere mani, ad accarezzare volti ed anche a scambiare qualche parola. Quando è arrivato in prossimità delle scale, ha voluto raggiungere una coppia defilata col marito in carrozzella. Poi il Vescovo è tornato sui suoi passi, ha raggiunto l'altare dove ha iniziato la messa, celebrando più la vita piuttosto che la morte: " Perché il luogo nel quale celebriamo non custodisce la morte, ma il tesoro vivo di tante donne e tanti uomini che per noi, sono stati vita, gioia e consolazione". Un altro momento di riflessione arriva dalla considerazione che felicità e beatitudine non " consistono nel piccolo cabotaggio di una vita che mira solo allo "star bene". Ma felici sono l'uomo e la donna che mirano a "far star bene", provano gioia nel rimanere presso l'altro, nel cercarne la felicità. Felicità, allora, non è un bene che sta fuori di noi, ma è vivere fuori di noi, con e per l'altro. Diversamente, non c'è beatitudine".













Scuola & Ricerca

In primo piano