Addio a Rauzi, se ne va un uomo libero
Docente a Sociologia, ex sacerdote e consigliere nel Pci, fondatore del Cineforum. Padre Butterini: la morte tra fede e ironia
TRENTO. Uomo di cultura, uomo di fede, uomo politico, ma soprattutto uomo libero. Il testamento che lascia Piergiorgio Rauzi, morto venerdì sera al San Camillo dove era ricoverato da più di una settimana a causa dell'aggravarsi di un tumore che lo “accompagnava” da tempo, è quello di una persona che diceva quello che pensava e faceva quello che diceva (con un rigore talora spigoloso ma comunque sempre teso a comprendere), sfuggendo ai condizionamenti dettati dalle gabbie sociali, dai luoghi comuni e dalle convenzioni.
Animo critico verso la società, la Chiesa e verso se stesso, Rauzi era stato sacerdote e si era “spretato”, senza perdere la sua profonda religiosità, che aveva trasferito in modo originale nella famiglia. Una religiosità - ricordano tutti coloro che gli sono stati vicini in questi anni - che era solida quanto aperta agli interrogativi che i temi sociali e politici pongono all'uomo di oggi, attenta all'altro quanto sfidante verso le coscienze e le istituzioni. Uomo libero e quindi uomo scomodo, con cui era normale scontrarsi ma in una chiave dialettica costruttiva, di confronto e non di contrapposizione, come nello spirito post-conciliare.
Ottant’anni il 28 di questo mese, Rauzi era stato docente a Sociologia per trent’anni, ma anche fondatore del Cineforum negli anni della contestazione e della rivista L’Invito, autorevole voce del cattolicesimo democratico. Dalla cultura alla politica: con la casacca del Pci aveva militato in consiglio comunale per due legislature, a partire dalla metà degli anni 80. Padre di quattro figli, Mattia, Serena, Sara e Anna, Rauzi era solandro di Malè.
Tra le persone a lui più vicine padre Giorgio Butterini, ora al convento di Terzolas, nella terra di Piergiorgio: «Una decina di giorni fa - racconta - era stato ricoverato al pronto soccorso per una crisi. Poi l’hanno trasferito al San Camillo. È morto venerdì sera: con lui la moglie Teresa, alla quale era affezionatissimo, e le figlie, che non l'hanno mai lasciato solo». Un amore reciproco: «Era un padre esemplare. Serena, sociologa che sta a Parigi, era qui la settimana scorsa che lo accarezzava. Lui si è svegliato e ha detto: è proprio bello volersi bene». E alla figlia più piccola, Anna, Piergiorgio aveva raccontato in un libro di tre anni fa la storia della famiglia Rauzi - e assieme la “Storia” del Novecento - attraverso le vicende della mamma di lui, Gemma, morta sulla soglia dei 100 anni.
Rauzi aveva frequentato il Seminario, poi era stato cappellano a Mattarello e in San Pietro con don Dante, prima di decidere di lasciare l’abito talare. «Aveva un fratello molto famoso, don Giuseppe parroco a Bolzano. Io seguivo la comunità di San Francesco Saverio, dove lui si era formato: siamo stati molto collaboratori». Padre Butterini lo ricorda anche come «un uomo di fede. Una fede non tradizionale ma di una persona intelligente, con la quale ha affrontato anche la morte.
Aveva lavorato molto a questo tema. Diceva: la morte non mi fa paura; è il morire, l'avvicinarsi lentamente ad essa che mi agita. Aveva un grande senso dell'ironia: quando stava già male, diceva: “Adesso sono morto”, e simulava l'arrivo dei conoscenti e amici che lo compativano (sorride)». Anche anni fa parlava della sua scomparsa, fino a pianificare le esequie: «Al mio funerale voglio che sia letto il capitolo ottavo della lettera di San Paolo ai romani, diceva. I figli erano andati a controllare: “Papà, è troppo lungo…” Perché scelse quello? C'è lo splendido discorso sulla creazione che attende di essere liberata e un grande messaggio sulla speranza».
“L’Invito” era uno spazio di dialogo aperto. «Anche gli omosessuali ci scrivevano sopra, mettendo in imbarazzo la Chiesa rispetto a certi discorsi. Così era Piergiorgio: libero e senza condizionamenti. E si sa quanto la libertà possa dare fastidio».