sacerdoti

«A 92 anni vado dove c’è bisogno di me»

Padre Livio Passalacqua, gesuita, domani lascia Villa Sant’Ignazio dopo 55 anni di impegno nell’accoglienza. Andrà a Milano


di Ubaldo Cordellini


TRENTO. «La risposta è dentro di noi. Non ce la possono dare gli altri». Gli occhi intelligenti e colti, lo sguardo vivace, la gentilezza di altri tempi, l’energia dei gesti a dispetto dei 92 anni. Padre Livio Passalacqua sta preparando le valigie. Dopo 55 anni lascerà Trento e la sua Villa Sant’Ignazio. Oggi è il suo ultimo giorno di servizio sulla collina di Trento e da domani sarà a Milano, all’istituto d’istruzione Leone XIII.

Cosa andrà a fare a Milano? Non so ancora. Io sono entrato nei gesuiti proprio perché si va dove c’è bisogno di noi. E io, a 92 anni, vedrò di dare il mio contributo. La frase del nostro fondatore Ignazio di Loyola era questa: essere là dove altri non ci sono. Questa esperienza a Villa Sant’Ignazio non è che non fosse apprezzata. Anzi, siamo stati apprezzati per il nostro lavoro d’accoglienza. Però si è pensato che qui ci fosse una struttura in grado di andare avanti da sola, con volontari e dipendenti. Così noi 4 gesuiti siamo stati mandati altrove. Qui ci sono due cooperative sociali e quindici associazioni che si occupano di accoglienza, di promozione e inserimento lavorativo, ma anche di psicologia e di educazione al dialogo. Per non parlare degli esercizi spirituali che facciamo con gruppi di persone.

A lei dispiace andare via da Trento?

Più che per me, mi dispiace lasciare le persone con le quali avevo, appunto, avviato un percorso spirituale. I nostri esercizi spirituali durante la vita quotidiana durano due anni. Facciamo un incontro ogni quindici giorni e poi le persone meditano su di sé mezz’ora, un’ora al giorno, quando possono.

Cosa era Villa Sant’Ignazio nel 1962, quando lei è arrivato a Trento?

Quando sono arrivato io, questa era una casa di esercizi spirituali. Io ero stato mandato, dopo il noviziato a Lonigo, per un’opera di orientamento per le vocazioni. Poi è venuto il ’68 e tutto è cambiato. Ci siamo dedicati all’accoglienza. I primi sono stati mariti cacciati di casa. Persone che avevano bisogno di un supporto anche psicologico, oltre che logistico. Poi abbiamo accolto i migranti che venivano dal sud con la valigia di cartone. Ma noi ci siamo sempre adattati alle richieste che ci venivano, alle esigenze. Così negli anni ’70, con il riflusso abbiamo fondato laboratori psicologici, come il Led, laboratorio di educazione al dialogo. Io apprezzo molto l’approccio alla persona di Carlo Rogers. Sono iscritto all’Ordine degli psicologi e i miei due amori sono proprio la parola di Dio e la psicologia. In greco si dice Pneuma e Psiche, ovvero spirito santo e consapevolezza di sé. Perché la fede dà serenità, la la consapevolezza di se stessi ci fa stare bene con gli altri. Per questo, fede e psicologia sono i miei due amori. Qui a Villa Sant’Ignazio abbiamo cercato di coniugare queste due cose. Così abbiamo associazioni e cooperative sociali, psicologiche e spirituali. Abbiamo trovato questa idea di non proporre una cosa soltanto, ma di accorgersi della realtà che ci circondava. L’esempio più classico è stato quello del Concilio, che ci ha presi per la cravatta. Poi il ’68 che ci ha capovolto le cose facendoci introdurre il sociale. C’era gente che bussava alla nostra porta e noi ci siamo interrogati. Così, prima facevamo solo orientamento alle vocazioni, e poi ci siamo resi conto che alla nostra porta bussavano anche altri e li abbiamo accolti.

Secondo lei, perché, l’opinione pubblica non vuole accogliere i migranti?

Paura. C’è paura che cambi tutto, ma le persone non si rendono conto che ci sono sempre state migrazioni. E’ una è paura comprensibile, anche irrazionale. Bisognerebbe aiutare i migranti a casa loro, ma è difficile. In gran parte dei paesi dell’Africa ci sono dittature, corruzione, violenza, guerra civile. Si salva solo il Sud Africa grazie a Nelson Mandela.













Scuola & Ricerca

In primo piano