Trentino, pagano per avere falsi Green Pass: avvisi di garanzia per 42 persone
Sono stati notificati questa mattina dai carabinieri del comando provinciale. Le accuse sono corruzione, falso ideologico e accesso abusivo a sistema informatico
TRENTO. Questa mattina, 19 aprile, i Carabinieri del Comando Provinciale di Trento, hanno notificato l'avviso di garanzia a 42 persone, in ordine all'ipotesi di reato di concorso in corruzione, falso ideologico e accesso abusivo a sistema informatico, procedendo contestualmente al sequestro preventivo di 48 Green Pass Rafforzati.
Gli avvisi di garanzia di questa mattina – si legge in una nota dell’Arma – costituiscono una ulteriore tranche rispetto ai 44 notificati a febbraio scorso, in quella circostanza, per la prima volta in Italia sono stati sottoposti a sequestro preventivo i Green Pass (50 nella circostanza) agli indagati e ai loro familiari, poiché illecitamente conseguiti.
L'incolpazione di queste persone (86 in totale) costituisce il naturale seguito dell'attività d'indagine avviata all'inizio dell'anno nei confronti di cinque soggetti tra cui un infermiere- indagati per associazione a delinquere, che si prestavano a falsificare gli esiti dei test per la diagnosi dell'infezione da Covid-19 eseguiti presso due centri -da loro gestiti- a Pergine Valsugana e a Trento.
Le indagini, condotte anche avvalendosi di intercettazioni telefoniche e ambientali, hanno messo in luce – spiegano i carabinieri – un sistema ben strutturato che avrebbe saputo sfruttare al massimo la situazione emergenziale approntando una fiorente attività nel campo dello screening diagnostico per il Covid-19.
“La possibilità di gestire in maniera arbitraria – secondo quanto risultato dalle indagini e come spiega l’Arma – gli esiti dei test nasali, aveva dato la stura a un vero e proprio commercio di Green Pass era emersa, infatti, una gestione parallela per un cospicuo numero di clienti fidelizzati, a favore dei quali venivano refertati esiti negativi, secondo le regolari cadenze temporali predeterminate con gli stessi, al fine di generare i certificati verdi.
Successivamente, approfittando della sempre più stingente evoluzione delle disposizioni normative volte al contenimento della pandemia, i sodali sarebbero passati alla "vendita di positività", mediante la refertazione di "falsi positivi", permettendo così a chi lo richiedeva di ottenere l'agognato Green Pass rafforzato, al termine del prescritto periodo di isolamento e chiaramente dietro un adeguato compenso economico (alcune centinaia di euro). Questo è il quadro – lo ricordiamo – che viene evidenziato da chi ha seguito le indagini
“Gli odierni destinatari dell'avviso di garanzia – concludono i carabineri – sono indagati poiché ritenuti colpevoli aver dato denaro all'infermiere, per fargli dare falsamente atto di aver eseguito test nasali rapidi con risultato positivo, al fine di ricevere per sé e loro familiari il Green Pass Rafforzato.
In numerosi casi l'infermiere avrebbe, secondo le accuse che gli vengono mosse, provveduto a certificare la positività al Covid-19 senza effettuare il tampone, bensì limitandosi a inserire i dati del cliente, rilevabili dalle fotografie delle tessere sanitarie inviategli tramite whatsapp.
Numerosi sono gli indagati residenti in Alto Adige e addirittura vi è chi, avvalendosi della intermediazione di altra persona, ha fatto ricorso alle prestazioni del centro direttamente dal Piemonte, ovviamente senza mettere mai piede a Pergine Valsugana”.