Tredicenne stuprato dal «branco» in Trentino
Il processo approda al tribunale dei minori di Bolzano. I fatti avvennero sette anni fa: anche gli inquisiti erano tutti minorenni. La Cassazione ha annullato il verdetto di condanna a 2 anni e 2 mesi di reclusione inflitti in appello all’unico imputato (assolto in primo grado)
BOLZANO. Una storia drammatica di bullismo senza limiti tra ragazzini di 13 e 14 anni è finita al vaglio dei giudici del tribunale dei minorenni di Bolzano. I fatti risalgono a sette anni fa ma la vittima che, dopo un periodo di paura reale per la legge del più forte imposto dal “branco”, aspetta sostanzialmente ancora giustizia. Furono almeno in quattro i ragazzini che si accanirono sul loro coetaneo, troppo timido e troppo timoroso per tentare di reagire ad una situazione diventata via via sempre più pesante. Sino a quando, dopo prepotenze di vario tipo, il gruppo di compagni si spinse sino all’inverosimile. Il ragazzino finito nel mirino del “branco” venne infatti aggredito e violentato sessualmente.
La vicenda, avvenuta in provincia di Trento, fu denunciata dai genitori dell’adolescente con inevitabile intervento anche della Procura per i minorenni. Del gruppo solo in due risultarono in quanto al tempo dei fatti avevano superato, anche se per pochi mesi, i 14 anni di età. Sino a quattordici anni, infatti, il minore non è mai imputabile, perché nei suoi confronti è prevista una presunzione assoluta di incapacità. Fra i quattordici e i diciotto anni, invece, il minore è imputabile solo se il giudice ha accertato che al momento del fatto avesse la capacità di intendere e di volere. Va anche ricordato che la capacità di intendere e di volere del minore fra i quattordici e i diciotto anni viene solitamente individuata nel concetto di maturità.
Proprio sulla base di questi presupposti giuridici l’inchiesta sfociò in un processo a carico di due soli dei protagonisti. Uno però per fu prosciolto in istruttoria in quanto definito dai periti e dagli psicologi troppo immaturo per poter essere considerato capace di intendere e di volere al momento dei fatti. L’altro invece finì a processo e venne assolto in primo grado sempre per effetto delle conclusioni dei periti nominati dal tribunale. Nei confronti di un minorenne che ha superato i 14 anni di età non opera infatti nessuna presunzione, né di incapacità né di capacità, dovendo il giudice accertare volta per volta se il soggetto sia imputabile o meno. L’unico imputato di questa grave vicenda è ora maggiorenne, vive in un’altra città e si è costruito un futuro professionale.
Ora, però, dovrà tornare davanti al giudice per una gran brutta vicenda che sperava di poter dimenticare. In effetti dopo essere stato assolto in primo grado a seguito dell’esito della perizia, il giovane venne condannato in appello (su ricorso della Procura della Repubblica) a 2 anni e 2 mesi di reclusione con esclusione della sospensione condizionale (per i minorenni la condizionale è prevista per condanne sino a 3 anni). Il successivo ricorso in Cassazione coltivato dagli avvocati di difesa ha però determinato un nuovo ribaltamento della sentenza.
La suprema Corte infatti ha annullato il verdetto d’appello inviando gli atti processuali alla sezione di Bolzano della corte d’appello (sezioni minorenni) per la ripetizione del processo di secondo grado. I giudici di legittimità hanno accolto gran parte delle argomentazioni difensive riguardanti la valutazione delle prove e degli elementi emersi dal processo. A fronte dell’assoluzione disposta in primo grado, infatti, la corte d’appello per arrivare ad una valutazione diametralmente opposta sulla capacità di intendere e di volere dell’imputato avrebbe dovuto disporre una nuova audizione dello psicologo.