Tessil 4, ultimatum prima della chiusura 

L’azienda pronta ad andarsene se i tempi delle verifiche si protrarranno. Gli operai in assemblea: «Siamo preoccupati»


di Giuliano Lott


ROVERETO. Sommati, sono poco meno di ottanta: 15 i dipendenti di Aquaspace, una sessantina quelli di Tessil 4, che ieri mattina hanno ascoltato dalla voce dei delegati sindacali la posizione delle due aziende. Una sorta di ultimatum: se i tempi per il dissequestro del depuratore chimico di Aquaspace si prolungheranno, entrambe le aziende chiuderanno. Aquaspace, perché l’impianto, lavorando solo con il depuratore biologico, non avrebbe alcuna sostenibilità economica. Tessil 4 perché, nonostante il depuratore biologico Aquaspace sia sufficiente a smaltirei rifiuti aziendali, si troverebbe a dover pagare oneri di depurazione talmente elevati da incidere sul costo finale del filato, ponendolo fuori dal mercato. Dunque, se la situazione non si dovesse risolvere in tempi brevi il rischio è che la tintura dei filati, core business di Tessil 4, venga spostata in altri stabilimenti del gruppo Aquafil.

Di conseguenza, oltre a quelli di Aquaspace rischiano il posto anche i sessanta dipendenti di Tessil 4, come avevamo anticipato nei giorni scorsi. Di mezzo però c’è la posizione dell’ente pubblico, ovvero la Provincia: come ribadito dalle due aziende, Sava, il Servizio autorizzazioni e valutazioni ambientali della Provincia, ha lavorato gomito a gomito con i tecnici incaricati di assemblare l’impianto di depurazione, e l’azienda ha seguito in maniera pedissequa le indicazioni per ottenere le necessarie autorizzazioni. A muovere però le prime perplessità è stato un altro ente pubblico, l’Appa, ovvero l’Agenzia per la protezione ambientale, secondo la quale l’impianto Aquaspace avrebbe delle criticità. Le analisi eseguite nel 2015 non avevano fatto registrare particolari problemi, mentre quelle eseguite l’anno successivo avevano rilevato alcuni sforamenti. L’azienda si attendeva ulteriori indicazioni, invece è arrivato senza alcun preavviso il sequestro del depuratore. Ieri in azienda a illustrare lo stato dell’arte ai lavoratori c’erano Ivana Dal Forno e Matteo Mangiaracina (Cisl), Franco Weber e Mario Cerutti (Cgil) e Osvaldo Angiolini (Uil), che dopo l’assemblea hanno argomentato l’assoluta necessità di fare in fretta.

«Sarebbe spiacevole aspettare mesi, inducendo l’azienda a chiudere, per poi constatare che il decreto di sequestro si poteva ritirare. È sacrosanta la tutela dell’ambiente - spiega la sindacalista Dal Forno - ma l’azienda ha bisogno della massima celerità per poter ripartire. Ci rivolgiamo sia alla Provincia che alla magistratura per esortarli a fare presto, senza tempi morti». Sul piazzale dell’azienda, in via del Garda, ci sono tutti i circa 80 lavoratori. «Siamo molto preoccupati - spiegano -, la prospettiva di chiusura ci mette in grave difficoltà, e sappiamo che l’azienda sa essere molto rapida quando si tratta di traslocare una produzione. Alla Gardafilo ci misero un attimo, decidendo di chiudere solo due settimane dopo la consegna dei nuovi macchinari: vennero rismontati, imballati e spediti in una nuova fabbrica». Dietro a un posto di lavoro - insiste il sindacato - c’è una famiglia. «Per questo caso va adottata una corsia preferenziale: si facciano le verifiche al più presto. I lavoratori non devono essere ostaggio di decisioni che dipendono dai bisticci tra due settori della Provincia, i quali sembrano non rivolgersi parola tra loro».

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