Morto di caldo, il caso diventa nazionale
Per l’operaio stroncato da ipertermia l’Anmil si è costituita parte civile contro gli imputati Gianni Marangoni e Marco Fabbri
ROVERETO . Sulla morte di Carmine Minichino si accendono i riflettori nazionali. Ieri alla prima udienza dibattimentale che vede sul banco degli imputati l’imprenditore Gianni Marangoni come responsabile della sicurezza alla Marangoni Pneumatici e il dottor Marco Fabbri, medico del lavoro, si è costituita parte civile nel processo penale l’Anmil, l’Associazione nazionale invalidi e mutilati del lavoro. Un ente che di norma non si muove a caso nelle aule di giustizia. Tra le rare occasioni in cui l’Anmil si era costituita parte civile figura il processo per il rogo alla Thyssenkrupp, alla linea 5 dello stabilimento di Torino che il 6 dicembre 2007 provocò la morte di sette operai, e che si concluse con condanne pesantissime ai manager e i dirigenti della fabbrica. Condanne nel frattempo divenute definitive.
Il giudice Carlo Ancona, che ha sostituito il collega Fabio Peloso designato in origine, ha accettato la costituzione dell’Anmil, e nel contempo ha rigettato la richiesta della difesa di escludere dal processo la Marangoni Spa, chiamata in causa per la responsabilità civile nel procedimento penale. Il giudice ha anche calendarizzato la prossima udienza, fissandola al 4 di aprile, per sentire tutti i testimoni, una ventina di persone tra cui i colleghi di Minichino, che avevano assistito a malore accusato dall’operaio nel tardo pomeriggio del 21 luglio 2015, nel reparto di vulcanizzazione, e anche il medico del lavoro che aveva preceduto in quel ruolo il dottor Fabbri. Dopo di che, nella terza udienza verranno sentiti consulenti tecnici di parte e periti. Il giudice vuole dunque appurare quale fosse la situazione del reparto al momento in cui Minichino si sentì male. Il quale venne poi soccorso dall’ambulanza di Trentino emergenza e trasportato in ospedale, ma non superò la notte: si spense verso le 4 del mattino, un decesso che venne qualificato da subito come choc da ipertermia. Proprio sulle condizioni del luogo di lavoro il giudice sembra intenzionato a fare chiarezza. Nella fase preliminare, il perito d’ufficio incaricato dal gup, il professor Dario Raniero, medico legale, aveva citato come possibili concause della morte l’obesità o patologie cardiache che però secondo il consulente tecnico della famiglia (i due figli e i due fratelli di Minichino, costituitisi parte civile tramite l’avvocato Giovanni Guarini) sarebbero irrilevanti e comunque prive di un concreto supporto clinico. Ciò che invece era stato acclarato è che in quei giorni, piena estate del 2015, una delle più calde degli ultimi anni, è che di giorno si registravano fino a 40 gradi all’ombra, e che nel capannone in cui lavoravano gli operai Marangoni le temperature erano addirittura superiori. La sfilata dei testimoni prevista il 4 aprile sarà un momento importante per lumeggiare le condizioni di lavoro nello stabilimento di via del Garda al momento del malore di Minichino, e anche per capire cosa l’azienda avesse messo in atto per limitare il disagio che deriva dal lavorare a temperature difficili da sopportare per l’organismo umano. Oltre ai familiari della vittima e all’Anmil (tutelata dall’avvocato Paolo Mazzoni di Mezzolombardo), si sono costituiti parti civili anche i Cobas, tutelati dall’avvocato bolzanino Mauro De Pascalis. Gianni Marangoni è difeso invece dagli avvocati Andrea Tomasi e Giovanni Geremia, mentre il dottor Fabbri si è affidato ai legali Andrea Tomasi, Monica Gasperini e Roberto Bertuol.
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