Legittima l’assunzione in Apsp 

Il gup Dies firma un clamoroso “non luogo a procedere” e scagiona Colpo, La Grutta e una funzionaria



ROVERETO . Dopo tre anni abbondanti dall’inizio delle indagini, capita che una sentenza - seppure di primo grado - metta in dubbio la regione d’essere stessa di quell’inchiesta. Il giudice Riccardo Dies ha infatti assolto il presidente del consiglio di Mori Renzo Colpo, il direttore dell’Apsp Antonino La Grutta e una funzionaria del Comune che si occupa delle pratiche per le assunzioni dirette. Ma è la formula a dire molto di più della sentenza stessa: “non luogo a procedere”, ovvero il giudice non ha ravvisato il minimo appiglio per un’azione legale nei confronti dei tre indagati. Eppure elementi ne erano stati raccolti molti, a sentire la Procura generale di Trento, che con una rara presa di posizione aveva avocato a sé l’azione legale. Il tema era il seguente: la figlia di Renzo Colpo, esponente del M5S e appena nominato presidente del consiglio a Mori, era stata assunta con un contratto “a chiamata diretta” per entrare a far parte dello staff dell’Apsp Benedetti, la casa di riposo della borgata. Su questa assunzione, gli oppositori più duri dei pentastellati avevano invitato a fare delle verifiche: secondo loro c’erano i margini per ipotizzare una sorta di “voto di scambio”. In sostanza, la figlia di Colpo sarebbe stata assunta con una “corsia preferenziale” per compiacere il padre neonominato presidente del consiglio comunale. La Procura di Trento fece propri questi sospetti e iniziò a indagare tre persone, cioè quelle che a parere della magistratura avrebbero stretto una sorta di “patto” per dare un posto di lavoro alla figlia di Colpo, in quel momento disoccupata. I più virulenti nell’attribuire ipotesi di responsabilità furono quelli che all’epoca formavano il gruppo del Patt, con in testa Cristiano Moiola. Nel frattempo, Paola Depretto ha lasciato il gruppo per unirsi alla compagine di Mauro Ottobre, Autonomia Dinamica, ma nel frattempo le indagini sono finite e il risultato per gli inquirenti è stato desolante. Dopo aver sequestrato computer, aver analizzato chat e corrispondenza, aver setacciato anni di comunicazione tra Renzo Colpo - che nel frattempo, per policy interna al M5S, non è riuscito nemmeno a candidarsi con il suo partito alle provinciali, dato che l’indagine lo rendeva incompatibile con le norme dei pentastellati: tra i grillini basta essere indagato per non essere eleggibile - dopo aver cercato per lunghi mesi tra i documenti qualche possibile traccia che “incastrasse” anche uno solo degli indagati a una qualche ipotesi di abuso, non è emerso niente. Nulla di nulla, tanto che al gup Riccardo Dies non è rimasta che una soluzione obbligata: prosciogliere gli indagati per totale insussistenza dell’accusa. Fa però riflettere che a muovere la vicenda sia stata la Procura generale di Trento - e non, come sarebbe stato più logico, quella di Rovereto - a reclamare la titolarità dell’intervento penale. E che la stessa Procura generale arrivi a una sentenza che ne sancisce una disfatta rovinosa. Questi anni sono stati tutt’altro che leggeri per chi oggi sorride per la propria estraneità alle accuse, ma che fino a ieri è stato additato all’opinione pubblica come truffatore e approfittatore.

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