la decisione

Disse «Salvini in galera», ora ex consigliere roveretano risarcirà il leader della Lega

Per la Cassazione le parole di Paolo Mirandola erano diffamatorie. Salvini aveva chiesto 50mila euro 



ROVERETO. Accolto dalla Cassazione, ai fini del risarcimento da stabilire in sede civile, il ricorso del leader della Lega Matteo Salvini contro un ex consigliere comunale dem del Comune di Rovereto, Paolo Mirandola, denunciata dall'ex ministro per aver detto durante il consiglio comunale del 2 marzo 2015: “Salvini in galera, un mascalzone, un delinquente abituale per tendenza”, reagendo così a un consigliere leghista che indossava la maglietta "Renzi a casa”.

Il Tribunale di Rovereto lo aveva assolto ritenendo le frasi ingiuriose ma giustificate dal contesto politico. Per gli 'ermellini' invece hanno connotati "infamanti". 

In primo e secondo grado, il consigliere Mirandola era stato assolto "perché il fatto non costituisce reato" dall'accusa di diffamazione nei confronti di Salvini per le frasi pronunciate durante l'approvazione del bilancio del Comune.

Nella sua accalorata invettiva, il consigliere 'dem' aveva detto che il segretario della Lega "aveva radunato in Piazza del Popolo il peggio del Paese, i fascisti, le Casa Pound, associazioni che sono venute dalla Germania, dalla Grecia, da altri paesi, le più destre possibili, le più pericolose possibili", concludendo che "è la feccia del Paese e dunque Salvini in galera".

Secondo i giudici di merito, le espressioni usate "in sé ingiuriose erano scriminate dall'esercizio del diritto di critica politica" e "il riferimento a Salvini era stato provocato dal fatto che un altro consigliere comunale, appartenente alla Lega, aveva indossato la maglietta con la scritta 'Renzi a casa', la stessa indossata dai partecipanti alla manifestazione di Roma organizzata qualche giorno prima da Salvini".

Insomma gli 'strali' del consigliere 'dem erano da collocarsi "in un contesto di conflittualità politica molto acceso, che giustificava l'utilizzo di espressioni offensive".

Per la Cassazione invece "l'avere attribuito a Salvini queste connotazioni, chiaramente infamanti, esula dal legittimo esercizio del diritto di cronaca politica perché attinge alle caratteristiche personali del soggetto ed alla sua integrità, peraltro introducendo dei concetti" - come "l'essere Salvini un pluripregiudicato, un soggetto meritevole di subire una pena detentiva, un soggetto caratterizzato da una vera e propria propensione al delitto" - che "non appaiono né vagliati nella loro veridicità, né funzionali a quello specifico dibattito politico, pur ammettendo che esso si fosse spostato dall'approvazione del bilancio del Comune di Rovereto alla manifestazione romana".

Ora il danno subito dal leader della Lega, che aveva chiesto 50mila euro di risarcimento, sarà quantificato dal giudice civile competente in grado di appello come stabilito dagli 'ermellini' nel verdetto 12199 depositato oggi, 1 aprile, dalla Quinta sezione penale (presidente Stefano Palla, relatrice Paola Borrelli).













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