«Cocco era la coscienza della città»
L’assessore Tomazzoni: innovatore, colto e profondamente legato al territorio. Figura importante, che va ricordata
ROVERETO. Con Francesco Cocco, scomparso alla soglia degli ottant’anni, se ne va non solo un grande professionista ma anche la sua capacità di “volare alto”, con un respiro che va ben al di là degli angustio confini locali. È verisimile immaginare che tra dieci o vent’anni, le soluzioni individuate da Cocco verranno studiate non solo su scala trentina, ma quantomeno nazionale. «È vero - conferma l’assessore alla cultura Maurizio Tomazzoni, pure architetto - Francesco Cocco è stato un grande personaggio. Arrivò qui negli anni Settanta per lavorare al Pup, e qui ha trovato una sorta di piccola isola felice, lo disse anche lui stesso, con altre parole, perché qui c’erano tutti gli elementi per la riflessione. E l’aspetto più bello del suo lavoro è che ogni aspetto progettuale nasceva da una riflessione profonda, che partiva dalla bellezza e dalla sensibilità. Alcune progettazioni che si vedono adesso sono avvitate su se stesse, lui aveva invece una sensibilità e un approccio estetico che partiva da una riflessione acuta e penetrante. Ricordo quello che forse è stato l’ultimo suo intervento pubblico, una mostra di foto di sue opere scultoree andate rubate, che avevano lo scopo di sensibilizzare il ladro di quelle opere. Aveva un tale rapporto affettivo con le sue opere, che considerava tappe fondamentali di un suo percorso di riflessione. Ed era così, in effetti. Non le avrebbe mai vendute, non se ne sarebbe separato». Il grande cruccio di Tomazzoni, che dice lui «mi rimarrà in gola per il resto dei miei giorni», è legata alla “città elettronica”, un plastico creato da Cocco con gli studenti del Cfp Veronesi riutilizzando le vecchie schede computer. «È un grande lavoro, di circa 7 metri per 2,5, che rappresenta la città e la sua evoluzione. Con una certa fatica burocratica siamo riusciti a portarlo all’Urban center e volevamo esporlo per l’inaugurazione della sala Kennedy. A questo proposito ci eravamo sentiti per telefono alcune settimane fa, mi aveva spiegato di essere un po’ acciaccato ma non avevo capito la gravità della sua situazione. Credo che a questo punto potrebbe essere un buon momento per ricordarlo, per far apprezzare la sua figura, nato urbanista ma diventato più architetto, con un’architettura profondamente collegata al territorio. Cocco era una persona molto colta, ma di grande modestia. È interessante notare che ogni sua opera è che sempre fatto parlare di sé. Anche in maniera critica, all’inizio, perché la prerogativa degli innovatori risiede proprio nella difficoltà di far capire l’innovazione. Pensava tutti gli spazi, unendo funzionalità e bellezza. Le sue riflessioni erano sempre molto affascinanti. La sua morte è una grave perdita della coscienza della città. La sua è un’architettura che far star bene le persone, e quindi fa crescere la società. Un uomo di un’altra epoca, e magari tornasse quell’epoca. Colto ma senza alcuno sfoggio di erudizione: parlando con lui si capiva che ciò che diceva nasceva da un pensiero molto approfondito. Di solito tra architetti ci si dà del tu, ma dopo averlo conosciuto veniva spontaneo dargli del lei, per la grandezza e la profondità del suo modo di interpretare la figura dell’architetto. Ma era al tempo stesso una persona di grande umanità, e soprattutto capace di ascoltare». I funerali si svolgeranno domani alle 14.30 alla chiesa di Santa Maria.
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