Alzheimer e demenza: in Trentino più di mille nuovi casi ogni anno
A Rovereto 5 incontri per capire come la pandemia ha colpito i malati e chi si prende cura di loro. E la richiesta che arriva è di essere ascoltati
ROVERETO. Si è concluso a Rovereto il progetto “Prevenire situazioni di disagio e isolamento delle persone con demenza e dei famigliari, correlati all’ epidemia di Covid19”. Il Progetto dell'Aima si è chiuso con una riunione “plenaria”, aperta a coloro che avevano preso parte ai precedenti incontri, ed anche ad associati e simpatizzanti, e a persone interessate al “mondo“ dell’Alzheimer.
Si è parlato di dati epidemiologici, attività di cura e prevenzione, ricerca corretta assistenza, necessità di dialogo tra mondo sanitario e sociale.
In sintesi i punti emersi negli incontri di progetto sono questi.
Emerge un bisogno di famiglie e caregivers di essere ascoltati, avendo uno spazio riservato a loro dove sentirsi liberi di esprimersi parlando delle loro emozioni, dei loro pensieri, di cosa hanno provato, di come si sono sentiti nei vari momenti del decorso della malattia.
Il sistema di assistenza fornisce cure e prestazioni di discreto livello e che i familiari in buona misura apprezzano ma la capacità di ascolto può e deve mgliorare: in pratica si riscontra la differenza tra curare e prendersi cura.
Un grande lavoro da fare per i pazienti, ma anche per i famigliari, è quello dedicato all’assistenza nelle prime fasi della malattia. Questo consentirebbe una diagnosi e un primo intervento tempestivi ed efficaci. I famigliari, il più delle volte, sono disorientati nella gestione della malattia e si sentono persi e senza validi supporti.
Si trovano infatti a fronteggiare una situazione per loro nuova e inaspettata che faticano a comprendere e, non comprendendo, non sanno prendere le giuste decisioni.
Sono illuminanti – spiega l’Aima – le parole che sono emerse più volte negli incontri “se avessi avuto - quando eravamo all‘inizio del percorso e non capivo- i consigli, le spiegazioni e i suggerimenti che ora mi state dando, quando ormai la malattia è in fase ormai avanzata, mi sarei sentita sentito più aiutata/aiutato e non avrei fatto le fatto e adottato i comportamenti che ritengo sbagliati e che ho fatto allora” .
Consegue dunque il suggerimento di prendersi cura il prima possibile del nucleo famigliare.
“La gestione “ del paziente Alzheimer mette a dura prova i famigliari. Questo non solo per l’impatto dei sintomi nella quotidianità, ma anche e soprattutto per il cambiamento di cui le figure di accudimento sono testimoni. Il malato Alzheimer, infatti, non vive solo alterazioni di carattere cognitivo ma va incontro ad una profonda trasformazione che coinvolge innumerevoli aspetti.
”Occorre avere la capacità di affrontare questo cambiamento di ruoli e di rapporti e di legami affettivi consolidati nel tempo che ora va ricomposto in modo diverso” spiega lo psicologo Filippo Cramerotti, che ha seguito il progetto.
Il ruolo e il carico accudente ricadono molto spesso sulle donne mentre gli uomini spesso lo rifiutano. I famigliari vanno quindi guidati e supportati in questo percorso.
Uno degli effetti più drammatici della pandemia che ha colpito tutti noi è quello legato alla segregazione delle case di riposo e il conseguente isolamento di persone fragili come gli anziani e i malati di Alzheimer. Questi ultimi sono i più bisognosi della vicinanza di figure affettivamente significative, proprio perché la malattia li pone in una condizione di spaesamento costante. I famigliari, in questo caso, sono gli unici a poter sedare questa angoscia di smarrimento.
Il covid e le misure di sicurezza ad esso connesse hanno impedito il mantenimento dei rapporti famigliari-pazienti creando sofferenza ulteriore e, in alcuni casi, peggioramento delle condizioni di salute.
”Questo spiega anche perché i famigliari hanno cercato di tenere con se il più possibile il loro congiunto anche quando le strutture residenziali hanno riaperto i ricoveri . Il pensiero di molte/molti era “se lo ricovero non lo potrò più vedere e allora e meglio che rimanga con me perché non si prenderanno cura di lui come faccio io“.
Il compito di caregivers comporta nel suo svolgimento un ampio grado di stress che protratto negli anni di malattia porta a conseguenze morbose di gravità non lieve. I caregivers riferiscono sintomi come insonnia, stati di depressione e ansia e altri ancora, di cui si curano poco, perché ritengono prioritario il compito di assistenza del loro caro.
I caregivers finiscono per trascurare la loro salute e le loro relazioni sociali, entrando talora in conflitto con gli altri membri della famiglia, se hanno opinioni diverse sui compiti assistenziali. Consegue – spiega chi ha curato il progetto – che servirebbe e sarebbe fortemente raccomandabile fornire ai famigliari e caregivers suggerimenti, per gestire in modo equilibrato il loro ruolo, senza eccessi ed “eroismi“.
Sono circa 4000 le persone con Alzheimer in Trentino, e circa 8000 quelle complessivamente con demenza, mentre i nuovi casi sono più di 1000 ogni anno.