assemblea Fipe

Pubblici esercizi in Trentino, la pandemia ha fatto chiudere 100 attività

Prima assemblea in presenza dopo due anni. In Trentino le imprese hanno retto meglio: l’88% ha avuto un calo di fatturato, il 18% sopra il 50%


Claudio Libera


TRENTO. Il fatturato dei pubblici esercizi del Trentino è diminuito, in media, di 32 punti percentuali tra il 2017 e il 2021. Il dato, riferito ai primi 9 mesi, è stato presentato nella sede di Confcommercio dall'Associazione dei pubblici esercizi del Trentino che ieri (28 ottobre) ha tenuto in presenza – alle Cantine Endrizzi di San Michele – la prima assemblea annuale post pandemia.

Marcello Condini, segretario dell'Associazione, ha illustrato alcuni dati raccolti nel corso dei due anni di pandemia. La nati-mortalità delle imprese del settore ha segno negativo, con una perdita di circa 100 unità su un totale, attuale, di 1320. Le chiusure e le limitazioni legate alla pandemia si sono riflesse sul fatturato: considerati i primi 9 mesi dell'anno a partire dal 2017, fatto 100 il fatturato medio del campione di aziende considerato, nel 2018 e nel 2019 avevano registrato una crescita rispettivamente dell'8,75% e del 2,39%. Il calo nel 2020 è stato del 23,17%, mentre il 2021 ha segnato un -20,82%. In provincia di Trento - ha detto Condini - le aziende sembrano essere riuscite a contenere gli effetti negativi: in Trentino 12 imprese su 100 non hanno avuto alcun decremento di fatturato, per 70 su 100 vi è stata una riduzione fino al 50%, mentre solo 18 hanno registrato cali superiori al 50%.

Per l'Italia questi valori sono sensibilmente diversi: 5 imprese non hanno avuto alcun calo, 36 hanno avuto un calo fino al 50% mentre 59 aziende su 100 in Italia hanno subito nel 2020 un calo del fatturato maggiore del 50% rispetto all'anno precedente.

Secondo i dati forniti dalla Fipe, il 2020 ha chiuso con una perdita cumulata di 26 miliardi di euro che corrisponde al 27% del totale dei pubblici esercizi. Solo nel comparto, rischiano la chiusura oltre 50,000 imprese mentre 300.000 lavoratori sono potenzialmente esposti al pericolo di perdere il posto di lavoro. Il settore occupa 1.300.000 persone e dà lavoro soprattutto a persone di fascia debole; il 40% dei dipendenti ha meno di 30 anni, il 64% meno di 40; la metà dei dipendenti sono donne.

Uno dei problemi evidenziati nell’illustrazione, il deficit del personale sia quantitativo che qualitativo; la pandemia ha allontanato tanti professionisti del settore con cui le aziende hanno condiviso un progetto di crescita e lavoro. In attesa dell’inizio della stagione invernale, Confcommercio si è mossa in anticipo per sopperire alle carenze di personale; con l’Agenzia del Lavoro è stata avviata una campagna di reclutamento del personale turistico.

Nei mesi di giugno- settembre scorsi, sono stati oltre 9 milioni e 328 mila le presenze in provincia. A livello locale, giugno 2021 ha presentato un saldo negativo sullo stesso mese del 2019 del 30,5%; luglio 2021 sempre rispetto allo stesso mese del 2019 -7,9%; agosto ha proposto il segno più per un 2,7% mentre settembre ha fornito un bel +12,7%.

Il minor numero di giorni di chiusura per la miglior situazione sanitaria nella nostra provincia, ha fatto sì che in Trentino le perdite siano state meno che nel resto d’Italia. Per quanto riguarda il saldo tra esercizi che aprono e quelli che chiudono, questo era già negativo prima dello scoppiare della pandemia, comunque indicativamente, gli iscritti da 1.400 sono scesi a 1.320.

Alla base del calo dei consumi ci sono il calo della domanda a seguito delle restrizioni che ha portato ad una minor voglia di mangiare fuori casa; la riduzione della capienza dovuta all’attuazione dei protocolli sanitari, con i locali più grandi o con plateatico che hanno risentito meno dei piccoli; il calo del turismo straniero. Il contingentamento degli orari e degli spazi ha inoltre allargato la forbice delle disuguaglianze penalizzando in particolar modo i locali serali e quelli dotati di pochi spazi.

L’analisi Fipe sulla fiducia dei baristi rileva che alla domanda, “come vede il suo futuro nel settore, pensa che continuerà a svolgere questa professione?” il 49,2% ha detto che terminata l’emergenza tornerà a svolgere la professione con tutti i cambiamenti che ha comportato; il 35,1% che tornerà a svolgere la professione come ha sempre fatto, il che dà un totale di fiduciosi dell’85%, mentre solo il 15,7% non vede prospettive e teme di non avere futuro nel settore.

Per uscire dalla crisi, la ricetta della Fipe punta a varie azioni: sviluppare servizi e proporre offerta di prodotti maggiormente di qualità e distintiva al 27%; introdurre ed incrementare attività di marketing e comunicazione il 18%; fornire al cliente un’esperienza distintiva il 9%; supportare temi di sostenibilità 9%; sviluppare nuovi modelli di business5%; garantire un contesto di massima sicurezza 5%.













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