Giampaolo Dalmeri, dai signori del Paleolitico  alla lotta all’elettrodotto 

Lo scopritore del “Riparo” in Marcesina. Il suo Giardino delle Roste ora è in pericolo


Mario Anelli


Pergine. Cosa può collegare l’uomo di 13 mila anni fa ad un grande giardino fiorito e profumato sul quale incombe un progetto di elettrodotto da 220.000 Volt? Li unisce un nome ed un cognome, quelli di Giampaolo Dalmeri. Quando scoprì il sito preistorico che prese il suo nome, il “Riparo Dalmeri” appunto, non pensava che decenni dopo avrebbe realizzato un grande giardino con centinaia di piante da fiore nella troticoltura gestita per lungo tempo da suo padre. Al posto dell'acqua i fiori, per ricreare l'equilibrio e l'armonia intuita in mondi di migliaia d'anni fa. Ed ancor meno pensava che sopra la sua creazione variopinta e nei pressi della sua e di altre abitazioni in località Le Roste fosse progettato un potente elettrodotto aereo quando altrove la modalità interrata evita all'uomo ed agli animali d'essere coinvolti dal flusso di innumerevoli particelle elettrificate in continua vibrazione.

Le campagne di scavo

«Quando entrai in quel canyon preistorico ero un po’ trepidante». Il ricordo di quel momento è ancora vivo, seppure la scoperta risalga a 30 anni fa. Geologo, Dalmeri s’era specializzato in preistoria antica (quella dei cacciatori e raccoglitori) ed aveva partecipato a campagne di scavo con la cooperativa Cora specialmente nel Triveneto. Fulminato, quando era ragazzo, dall’immagine d'un uomo fossile stampata sulla copertina di un libriccino che ancora conserva. Il fascino di quella figura lo spinse a cercare in testi e sul campo fra terre e monti, grotte e foreste. Approdato al Museo Tridentino di Scienze Naturali, divenne tempo dopo il conservatore della sezione di preistoria, incarico che ha mantenuto anche al Muse di Trento. Alla ricerca degli insediamenti di quell’uomo antico che in Trentino era vissuto tra gli 8.000 ed i 15.000 anni fa, nel Paleolitico superiore.

Di traccia in traccia

Coordinava le campagne di scavo nella Grotta di Ernesto, sull’altopiano carsico della Marcesina, in comune di Grigno, «ma volli allargare quasi subito il campo: avevo trovato tracce di cacciatori preistorici, intuii che poteva esserci ben altro». A poco più di 4.000 metri di distanza ed a 1.240 metri di quota, si imbatte in un grande riparo naturale. «In quel canyon c’era buio, qua e là in superficie vidi dei resti della Grande Guerra». Dagli scavi dei due decenni seguenti, poco a poco emerse un mondo. Quello degli uomini che circa 13.000 anni fa risalendo dalla pianura veneta nelle buone stagioni si riunivano sotto il Riparo in occasione delle battute di caccia. Compaiono oggetti di vario uso ed i resti di una capanna. Poi le 267 pietre colorate in varie tonalità di ocra rossa, la parte dipinta rivolta a terra. E molti teschi di stambecchi sepolti con modalità particolari. La scoperta finì sulle riviste scientifiche internazionali e continua ad affascinare, il sito attrae studiosi e visitatori da ogni dove.

Mondi in equilibrio

«Quanto trovammo ci dava indicazioni sul modi di vivere di quei signori», ricorda Dalmeri. Signori? «Si, perché vivevano in sintonia con il loro ambiente, prendevano solo ciò che serviva loro per sopravvivere. Nulla di più. C’era equilibrio in quei mondi. Nelle mie ricerche ho sempre cercato di immedesimarmi nel loro modo di vivere, per capirli bene». Il contrasto con il mondo odierno è non solo stridente, ma esplosivo. Giampaolo Dalmeri ha ritrovato quell’equilibrio dando forma vivente a un grande giardino botanico di pregio, echeggia lo stile inglese, con centinaia di piante da fiore nei pressi della sua abitazione. Coltivato rispettando le leggi della natura e in continua trasformazione. Esteso su 3.000 metri dentro le 13 vasche d'una troticoltura ricavata negli anni ’20 del ’900 in fosse naturali e ammodernata nei primi anni ’60 dal padre. Si scorgono ancora i muretti perimetrali. Il luogo è riparato e silenzioso. Magico, a pochi metri dal torrente Fersina, là dove la strada provinciale sale da Pergine e incrocia il torrente per poi imboccare la valle omonima, dove un lembo di territorio è di Vignola Falesina. Giardino sfiorato su un lato dalla derivazione del corso d’acqua che alimentava la troticoltura. Sull’altro da felci che diradano gradualmente quale sipario naturale tra fiori e bosco ceduo che sale sul monte punteggiato da conifere.

Un mare di colore

Il luogo è riparato e silenzioso. Magico, a pochi metri dal torrente Fersina, là dove la strada provinciale sale da Pergine ed incrocia il torrente per poi imboccare la valle omonima, dove un lembo di territorio è di Vignola Falesina. Giardino sfiorato su un lato dalla derivazione del corso d'acqua che alimentava la troticoltura. Sull’altro dalle felci che diradano gradualmente quale sipario naturale tra i fiori ed il bosco ceduo che sale sul monte punteggiato da conifere. Quando ha potuto lasciare il Muse s’è dedicato alla sua passione, immerso in un mare di colore nel verde. Piante cercate con pazienza e trovate in giardini, curate assieme alla moglie Donata e con l’aiuto delle sorelle Giannina e Manuela. All’inizio, in una prima vasca un roseto, in una seconda le ortensie, poi altri roseti con fiori di ogni colore, specialmente francesi ed inglesi, taluni rampicanti. Alcuni esemplari provengono da David Austin, l’ibridatore più coccolato ed apprezzato d'Europa (le varietà The Gentle Hermione, Princess Alexandra of Kent, Lady of Shalott), altri da ibridatori francesi (Meilland). Colpiscono il crema chiaro della Lady Emma Hillingdon, l’intensità della Gertrude Jekyll ed il rosso scuro della Munstead Wood.

L’Eden minacciato

In altre vasche dimorano 150 piante d’ortensie, dove ora prevalgono le tonalità del blu, dell'azzurro, del rosa e del bianco, ma molte cambiano colore ogni anno. Alcune provenienti da Canterbury, altre dal giardino di Fabrizio De André (Agnata, in Sardegna). Ci sono anche ortensie quercifoglia. Un boschetto di ortensie supera il metro e mezzo. In una vasca vivono le varietà antiche. In altre si scorgono i boschetti dei lillà, dei glicini e delle betulle. Un sentiero al limitare del monte bordeggiato da ortensie azzurro-blu sfuma in uno specchio d’acqua dove cervi, caprioli tassi, volpi e altri animali s'abbeverano abitualmente. Però, alzando lo sguardo dall'Eden del Giardino delle Roste verso il cielo pare già di scorgere i grossi cavi ronzanti dell’alta tensione dell'elettrodotto 290 Borgo-Lavis sorretto da possenti tralicci in ferro, progetto mirato a spostare il percorso attuale. Le osservazioni in opposizione inviate da proprietari del luogo sono approdate ai Ministeri dello Sviluppo Economico e dell'Ambiente, a Terna Rete Italia spa, alle amministrazioni di Pergine, Civezzano, Baselga di Piné e Vignola Falesina, tutte coinvolte. Obiettivo: l’interramento del cavi nei tratti sensibili.

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