Nubifragi troppo frequenti Colpa della crisi climatica 

L’analisi degli esperti. Col riscaldamento globale nell’aria c’è una maggior quantità di energia e i fenomeni si possono intensificare. Sabato un fronte freddo si è scontrato con una massa calda


Sara Martinello


bolzano. «Non abbiamo un “tampone” per questo temporale. Così come la febbre può essere sintomo di Covid-19 come pure di una semplice influenza, non possiamo stabilire se il temporale di sabato sia senz’altro imputabile al cambiamento climatico. Quel che ci possiamo aspettare, però, è che col riscaldamento del pianeta ci sia una maggiore quantità di energia disponibile, e quindi che questi fenomeni intensi aumenteranno».

È il commento del climatologo Luca Mercalli, intervistato sul nubifragio che tra il pomeriggio e la sera di sabato ha colpito duramente la zona lungo il corso dell’Adige. Concorda il meteorologo della Provincia Dieter Peterlin: quando si parla di eventi atmosferici la crisi climatica va considerata, almeno per ora, alla stregua di concausa. Ma un’emergenza c’è, e le amministrazioni possono dotarsi di strumenti per attutirne gli effetti.

Nulla di nuovo sul fronte freddo.

Che cos’è successo, di preciso, sabato pomeriggio? Possiamo parlare di un evento atmosferico eccezionale? «Dobbiamo considerare il contesto – risponde Peterlin –, tener conto di una situazione generale che si protraeva da fine luglio. Sulla provincia gravavano masse d’aria calda e umida che nel corso delle ultime due, tre settimane hanno generato violenti acquazzoni, cosa piuttosto consueta per il mese di agosto». Dalla Francia è disceso un fronte freddo diretto verso i Balcani che si è scontrato con la massa d’aria calda e umida. E da lì è nato il temporale. Non del tutto imputabile al cambiamento climatico, «anche se negli ultimi dieci anni c’è stato un aumento delle temperature che ha fatto virare il nostro clima continentale verso un clima un po’ più mediterraneo, soprattutto d’estate. E la comunità scientifica ritiene che temperature più alte, con una maggiore quantità di energia nell’aria, possano accrescere la frequenza dei temporali».

«Dati insufficienti».

Dalla val di Susa, dove abita, Mercalli sabato non ha sentito nulla. «Giusto tre minuti di pioggia durante la mattinata e un po’ di vento fresco», dice. In rete ha visto i video girati a Merano. «Il punto è che i temporali sono strutture molto locali. Noi vediamo il diluvio, ma magari a cinque chilometri di distanza non succede niente. Per stabilire una causalità tra frequenza e violenza delle precipitazioni e riscaldamento del pianeta dovremmo avere dati a sufficienza, almeno quelli degli ultimi cent’anni. In più si tratta di fenomeni piccoli, locali, e già è stato difficile operare una ricostruzione del genere per la tempesta Vaia, che ha coperto una superficie decisamente più estesa...». Sulla possibilità di un aumento della frequenza di fenomeni violenti Mercalli dà la stessa risposta di Peterlin. «È la logica fisica, semplicemente. Non si può dire quanta parte di questi eventi sia dovuta al cambiamento climatico».

Soluzioni grandi e piccole.

Resta un fatto. Politici e amministratori hanno la responsabilità – e la possibilità – di attivare una risposta, di attrezzare il territorio da una parte per evitare che questo sia messo in ginocchio dai temporali, dall’altra per tutelare la vita. Mercalli cita l’esempio di Copenhagen, dove vent’anni fa, dopo un nubifragio disastroso, si è iniziato a realizzare vasche sotto parchi e piazze, vasche dove l’acqua piovana è convogliata per poi essere smaltita con calma nei giorni successivi al temporale. E gli alberi? Alcuni enti locali li piantano ai lati delle strade per mitigare l’effetto canyon. «Gli alberi vanno bene – risponde il climatologo piemontese – ma non sono la soluzione primaria. Mitigano, non sostituiscono. Poi ogni territorio ha i suoi problemi specifici, e altrettanto specifiche saranno le soluzioni».













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