Zecche, Val di Non a rischio Tbe
Con la Val di Cembra e la Valle dei Laghi questa è una delle aree in cui la malattia è stata riscontrata
CLOZ. Le zecche sono da sempre presenti in Valle di Non, ma di recente hanno sollevato non poche preoccupazioni fra chi frequenta abitualmente la montagna, perché hanno causato alcuni casi gravi di encefalite. Per avere indicazioni su come comportarsi, a Cloz moltissime persone hanno partecipato alla serata organizzata dal Punto lettura e dal Circolo Pensionati. Relatrici la dottoressa Annapaola Rizzoli, che si occupa di epidemie e malattie emergenti a livello internazionale ed è responsabile della direzione Centro ricerche e innovazione della Fondazione Mach di San Michele all’Adige, e la dottoressa Daniela Zanon, direttrice del Distretto sanitario Ovest dell’Apss.
«Noi ci teniamo a far conoscere le nostre ricerche e a dare degli strumenti alla popolazione per combattere le malattie. Quest’anno abbiamo rilevato un’alta concentrazione di zecche nei nostri monitoraggi del territorio; non solo noi, ma anche altri colleghi dei paesi europei, in modo particolare in Germania. Le zecche sono diffuse in tutta Europa e sono aumentate negli ultimi 30 anni a causa dei cambiamenti climatici». Con queste parole la dottoressa Rizzoli ha aperto l’incontro.
Le zecche fanno parte del regno degli artropodi, non sono insetti quindi, ma parenti dei ragni e degli acari. Sono parassiti e si cibano del sangue degli animali selvatici e dell’uomo. Possono trasmettere una serie di virus e batteri di vario genere. La zecca subisce una metamorfosi: nasce come larva, poi si trasforma in ninfa e nello stadio successivo diventa adulta, femmina o maschio. I maschi sono innocui, solo le femmine si cibano di sangue e per ogni covata depongono 1.000 uova. Per passare dallo stadio di uovo a quello di adulto le zecche impiegano 3 anni. Scelgono le persone in base al metabolismo, perciò non tutti sono soggetti alle loro intrusioni, ma prediligono gli uomini. Possono nutrirsi del sangue di 200 specie di animali.
L’anno scorso c’è stata una esplosione demografica di topi e di conseguenza sono aumentante di molto anche le zecche, ma anche l’aumento di caprioli, cervi e il rimboschimento ha favorito il loro sviluppo. Questi parassiti si trovano nei boschi di faggi, lungo i sentieri, nei cespugli, fino all’altitudine di 2.500 metri e sono favoriti da un clima umido. Trasmettono all’uomo l’encefalite da zecche e la Malattia di Lyme o borelliosi, che sono le più pericolose e procurano febbre e malessere. Il 16 % delle zecche presenti in Trentino sono portatrici di queste infezioni pericolose. Dopo qualche giorno dalla puntura della zecca compare un eritema sulla pelle e in questo caso è necessario rivolgersi al medico che prescriverà una terapia antibiotica specifica. Una persona infettata non può trasmettere l’infezione a un'altra persona e nemmeno la zecca può passare da uno ad un altro. L’importante è riconoscere subito la puntura da zecca e toglierla, perché impiega 24 ore a trasmettere l’infezione.
L’infezione dell’encefalite TBE può essere trasmessa all’uomo anche bevendo latte crudo di pecora, capra o mucche. Questa malattia è stata riscontrata in Val di Non, in Val di Cembra e nella Valle dei Laghi. L’anno scorso ci sono stati 35 casi di encefalite in Trentino. La Provincia ha messo a disposizione un vaccino per la TBE, gratuito, che è bene lo faccia chi è esposto a questo pericolo. In farmacia si trovano delle pinzette specifiche, che servono per togliere le zecche. L’importante è recarsi nei boschi ben coperti, usando un repellente specifico e controllarsi appena si torna a casa esponendo i vestiti al sole, perché sopravvivono anche al trattamento in lavatrice, ma non sopportano il secco. I posti prediletti dalle zecche sono: la base dei capelli, le ascelle, l’inguine, dietro il ginocchio e le mani.
La dottoressa Zanon ha insistito sul fatto che la paura delle zecche non ci deve far perdere il piacere di frequentare i boschi e vivere all’aria aperta, ma dobbiamo calcolare il rischio e comportarci in maniera corretta. L’importante è fare il vaccino d’inverno, perché è efficace solo dopo due mesi con il secondo richiamo; dopo un anno si dovrà fare un altro richiamo. Al termine delle relazioni le dottoresse sono state tempestate di domande e ricerche di chiarimenti.