IL CASO

Maxi evasione da 83,5 milioni, clochard di Napoli risulta Ceo a Trento

Bruno Improta, 53 anni, è risultato amministratore unico e rappresentante legale della «21 Soluzioni srl», una società di Trento che, solo nel 2015, ha evaso 1,75 milioni di Iva (foto Ansa)



NAPOLI. C'è anche un clochard che vive in una baracca della degradata periferia ad est di Napoli nell' «esercito di disperati» che un paio di truffatori campani hanno messo a capo di una folta galassia di società create esclusivamente per una maxi evasione fiscale transnazionale da oltre 83,5 milioni, scoperta dalla Guardia di finanza.

Bruno Improta, 53 anni, è risultato amministratore unico e rappresentante legale della «21 Soluzioni srl», una società di Trento che, solo nel 2015, ha evaso 1,75 milioni di Iva. Ma l'evasore fiscale Improta è nullatenente e, per sbarcare il lunario,raccatta metallo e vecchiume tra la spazzatura. Quando, sempre nel 2015, la sua ditta ha sviluppato un volume d'affari pari a circa 50 milioni di euro viveva in una tenda fatta di corde e buste dell'Ikea.

Rintracciato e intervistato, dall'Ansa, ha «confessato» che quei milioni non gli sono mai passati tra le mani. Anche i finanzieri gli hanno creduto: «E chi li ha mai visti - ha detto - le pare che se io avessi 50 milioni starei qui Andrei a vivere in una villa ad Arcore».

I militari gli hanno notificato l'avviso di conclusione indagini e il provvedimento di sequestro ma lui non ha fatto una piega: «Dottò io non tengo niente da perdere: ho solo una baracca, tre cani ed un gatto». Poi, però, è stato assalito da un dubbio: «Contavo sul Reddito di cittadinanza...che dite, non è che dopo questo guaio me lo posso scordare».

Tra i 49 indagati figurano tantissime persone indigenti, come il clochard di Napoli. Le «loro» aziende, è stato stimato, avrebbero sviluppato un volume d'affari da capogiro: circa mezzo miliardo di euro, con prodotti hi-tech venduti a prezzi stracciati - perchè non veniva pagata l'Iva - forse anche su importanti siti di e-commerce. L'inchiesta si è avvalsa di una squadra investigativa formata dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Napoli e di Lucca, e dalla Polizia slovena, con il coordinamento di Eurojust. Le indagini sono nate proprio a Lucca, dove i finanzieri hanno scoperto che qualcosa non andava nella vendita di prodotti elettronici che venivano acquistati da negozi toscani. Hanno seguito una pista che li ha condotti prima in Campania e poi in Slovenia, Croazia, Malta ed Estonia. È emerso il coinvolgimento di numerose società, quasi tutte non operative, amministrate da soggetti lontani mille miglia dalla figura dell'imprenditore o del dirigente di impresa che però facevano capo, alla fine, a criminali già noti alle forze dell'ordine, uno residente ad Avellino, l'altro ad Aversa. I due avevano creato, con la complicità di commercialisti e altri professionisti, numerose «società cartiera», affidandole formalmente per poche centinaia di euro a soggetti per lo più disoccupati e nullatenenti che, di volta in volta, come è stato accertato, dopo essere stati pagati venivano ripuliti e vestiti in giacca e cravatta per essere poi presentati a notai e direttori di banca come rampanti imprenditori pronti a sbarcare nel competitivo mondo del commercio internazionale dell'hi-tech. Ditte con un'aspettativa di vita di qualche anno che poi fallivano. E il «giro» iniziava nuovamente con altre ditte e altri prestanome. 













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