Lo psichiatra Crepet: «Riaprire Pergine? Non è un’opzione»
Dopo i fatti di Rovereto divampa la polemica tra gli psichiatri. L’assassino era malato? Come facciamo a tutelarci? Dobbiamo riaprire i manicomi?
TRENTO.«Cosa volete fare, voi trentini? Riaprire Pergine?» domanda, retoricamente, Paolo Crepet. «Volete davvero riaprire il manicomio dove Mussolini mandò a morire il figlio illegittimo, Benito Albino, un ragazzo innocente ucciso e sepolto dalla psichiatria? È questo il Trentino che volete?». Antefatto. Il delitto di Rovereto ha scatenato una serie di reazioni. Lo sdegno della comunità, ed è naturale. La polemica politica, e c’era da aspettarselo. Ma anche una polemica interna al mondo della psichiatria - e questo, francamente, chi lo avrebbe immaginato? Lunedì la pm di Rovereto Viviana Del Tedesco ha detto ai microfoni della Rai: «Soggetti con forti squilibri mentali». «Avrebbero dovuto essere inseriti in strutture, che in Italia non esistono». «Non esiste una legge che obbliga queste persone a rimanere confinate lì». «Ho chiesto di stilare un elenco di tutte le persone che possano denotare pericolosità sociale». Tempo ventiquattr’ore e Claudio Agostini, dirigente del centro di salute mentale di Trento, le ha risposto: «Ho dedicato la vita al superamento dei manicomi». «Un criminale non è per forza un pazzo». «Non esiste né esisterà mai un modo per prevedere i reati». Ieri, l’ultima puntata della telenovela. È intervenuto Ezio Bincoletto, psichiatra anche lui, consulente della Procura. Con un’intervista all’Adige. «Siamo l’unico Paese al mondo che non ha più gli ospedali psichiatrici». «Negli anni 80 il governo li ha chiusi per risparmiare». «All’epoca ho seguito Basaglia, ma mi sono reso conto che si stava sbagliando strada». È dunque per provare a capirci qualcosa, che abbiamo sentito Paolo Crepet. Settantuno anni. Due lauree, una in medicina, una in sociologia. Grande star della psichiatria italiana (ha un profilo persino su TikTok). Di entrare nelle polemiche trentine, non ne vuole sapere. Ma ha le idee chiare, anzi chiarissime. È contro i manicomi, come se chiudere tutti i malati in una struttura ci potesse difendere dalle violenza. Contro l’idea che l’esplosione del male e della violenza si possa in qualche modo prevedere. Contro l’equazione per cui un assassino è per forza malato. Contro quella che chiama «una deriva fumettistica» della psicologia e della psichiatria.
Crepet, cosa pensa della tendenza a considerare il delitto sempre e comunque segno di squilibrio mentale? Un’organizzazione criminale è una congrega di malati di mente? Se uno va in guerra, cosa trova, tutti psicopatici? Di donne uccise dai loro uomini, statistiche alla mano, ce n’è una ogni due giorni. In ogni provincia d’Italia, assassini di ogni età, di ogni ceto sociale, di ogni provenienza geografica.
Dovremmo considerare tutti i maschi soggetti a rischio di diventare violenti?
È vero che molti africani che arrivano da noi non hanno una struttura etica? È una distinzione senza senso. Molti immigrati che hanno vissuto viaggi traumatici, vivono perfettamente integrati, rispettano le leggi anche quelle che vanno contro di loro. Magari, proprio ora mentre parliamo, stanno raccogliendo pomodori. Al contrario, non è detto che uno nato e cresciuto in Trentino non possa avere esplosioni di violenza. Non è che il Trentino, per una qualche sua natura geologica, generi solo gentiluomini e gentildonne.
Cosa pensa dell’idea di confinare i matti in delle strutture per il bene della popolazione sana? La possibilità che in qualsiasi bar del Trentino qualcuno, dopo il secondo bicchiere di vino, alzi le mani e spacchi la testa a chi sta dietro il bancone esiste, e non la si può prevedere. Lei non lo può sapere, ma il mio primo libro, quarantatré o quarantaquattro libri fa, ruotava proprio intorno a questo tema. S'intitolava Ipotesi di pericolosità. Era una ricerca condotta sul territorio della provincia di Arezzo - eravamo ancora ai tempi di prima di Basaglia. Volevo smontare la narrazione per cui le persone ricoverate in manicomio sarebbero state più pericolose di quelle che rimaneva fuori. Arrivai a dimostrarlo: era una baggianata.
Non sarebbe un modo per prevenire i reati? Non mi piace l’idea per cui dovremmo prendere i malati e sbatterli in manicomio come misura preventiva. Ai tempi dei manicomi, in Italia avevamo 120 mila internati. Non sono affatto pochi. Forse che all’epoca i delitti erano di meno? Forse che Totò Riina non sarebbe diventato lo stesso mafioso? Chiediamocelo: della prevenzione deve farsi carico la psichiatria? Secondo me la risposta è no, assolutamente no.
I manicomi sono stati chiusi perché lo Stato non voleva investire nella tutela della salute mentale? Tutto questo non è certo colpa di Franco Basaglia. Franco Basaglia è stato uno dei più grandi difensori dei diritti degli ultimi. Non possiamo dare a quell’uomo le colpe di quello che è successo dopo la sua morte. Mi permetta di sconfinare di qualche chilometro e di allargare il discorso all'Alto Adige. A Bolzano non c'è stato, di recente, un ragazzo che ha ammazzato i genitori? Io mi sono schierato contro la possibilità che Benno Neumair fosse dichiarato incapace di intendere e di volere, contro l’idea che fosse pazzo e non sapesse quel che faceva. Sicuramente in lui covava un rancore, qualcosa di oscuro che la sorella conosce bene. Ma niente di riconducibile a una malattia della mente. Ebbene, qualcuno era forse in grado di prevedere che il suo rancore sarebbe sfociato in un delitto? E soprattutto: qualcuno pensa che se a Bolzano vi fosse stato un ospedale psichiatrico quell’uomo e quella donna sarebbero ancora vivi?
Dire di un assassino «Ah, ma era matto», non è un modo per evitare di affrontare la realtà? Una forma di auto-rassicurazione? Considerare i criminali sempre e comunque dei malati di mente significa affermare che i bruti non esistono. Non è così. I bruti esistono. I violenti esistono. I maledetti, per usare questa parola, purtroppo esistono.