Rossano Rovai è tornato a casa dopo tre mesi di ospedale
La vita appesa a un filo. Il titolare del bar Titti di Mezzolombardo l’ha avuta vinta sul Covid 19, ma solo dopo aver trascorso 30 giorni intubato e aver ricevuto l’estrema unzione. Al suo rientro accolto da una festa di vicini e amici
Mezzolombardo. Rossano Rovai ce l'ha fatta. Dopo tre mesi di ospedale, uno dei quali intubato, sabato scorso il titolare del bar Titti, esercizio commerciale che si trova in pieno centro paese sotto l'ombra del campanile, è tornato nella sua abitazione in via Damiano Chiesa.
Rovai, classe 1946, è uno dei tanti trentini che si sono ammalati a causa del Covid 19, virus che lo ha colpito molto pesantemente e lo ha portato ad un passo dal non ritorno. Uno dei ricordi di questa esperienza è il fatto che gli è stata impartita l'estrema unzione, segno evidente di un evolversi della malattia che per un certo periodo è stato pericolosamente molto complicato. Ovviamente Rossano non ha ricordo del prete che gli impartisce il sacramento: in quel frangente del decorso ospedaliero lui era intubato e sedato.
Ricoverato il 19 marzo, Rossano Rovai è stato intubato il 25 marzo ed è rimasto in quella situazione clinica fino al 24 aprile. Il giorno 2 aprile, visto il perdurare della criticità, la decisione di impartirgli l'estrema unzione. Poi la svolta. Dal 5 aprile è incominciato un lento ma costante miglioramento che è sfociato, per buona sorte oltre che evidentemente per la forte fibra dell'uomo e le cure dei sanitari, con il ritorno a una respirazione polmonare senza tubi e il risveglio dal coma indotto. Abbiamo chiesto a Rovai di raccontarci cosa ricorda di quei momenti. «Molto poco!», risponde Rossano, che aggiunge: «Avevo una certa confusione in testa. Ricordi strani, anche non belli, che in realtà erano sogni!».
Una fotografia dimostra però inequivocabilmente un fatto piacevole e intimo, diciamo così: Rossano Rovai, nonostante la confusione mentale dovuta al mese di sedazione, non si è dimenticato il compleanno della moglie Mirella Endrizzi e ne ha parlato, appena ha potuto farlo, con medici e infermieri. E siccome Mirella in ospedale non ci poteva andare, è andato lui da lei: in foto. Una foto che Mirella conserverà sempre con molta cura. Significativa di quella che possiamo senza dubbio alcuno definire una gran bella prova d'amore. Rossano e Mirella ci hanno concesso di renderla pubblica. Nonostante il frangente, o forse proprio per quello, è o non è una gran bella foto? Ad essere pignoli, il compleanno di Mirella era il 5 aprile. Ma quel giorno Rossano era sedato e intubato, quindi gli auguri via foto a Mirella sono arrivati sul telefonino venti giorni dopo. «Lo sa che ci tengo agli auguri di compleanno!», sottolinea lei mentre lo guarda sorridendo con occhi innamorati.
Ad attendere Rossano, il giorno del suo rientro a casa, una festa preparata da vicini di casa e amici del bar Titti, con tanto di palloncini e torta e tutto il resto. E applausi. E complimenti per lo scampato pericolo. E lacrime di commozione, quelle di Rossano ma non solo. «C'è stata molta umanità – afferma Mirella con il marito che annuisce – e ringraziamo tutti per questo. Non mi sono mai sentita sola, tutti mi hanno sostenuta e aiutata. Dall'ospedale, quando mio marito era intubato e sedato in rianimazione, ogni sera mi arrivava una telefonata dalla dottoressa Lucia Pilati che mi informava sulla situazione e se si accorgeva che ero giù di corda mi dava una scrollata. Anche da Rovereto, dove lo hanno spostato, mi mandavano informazioni sul telefonino e ogni tanto mi telefonavano».
Dalla casa di cura Eremo di Arco, dove Rossano Rovai ha passato l'ultimo mese prima di rientrare a casa, recuperando 5 kg dei 20 persi, le telefonate erano perlopiù tra marito e moglie. «Sono entrato lì dentro che non stavo nemmeno in piedi – sottolinea – e sono uscito, sia pure a fatica, con le mie gambe. Che altro posso dire, a parte ringraziare tutti? Per fortuna sono qui che la racconto!». Un'occhiata amorosa alla moglie Mirella che aggiunge: «Quando mio marito era in rianimazione, alle finestre in questa casa e nelle case vicine, ogni famiglia aveva messo una candela accesa. La mia c'è ancora. Quando Rossano è uscito dalla rianimazione ho chiesto rimanessero, per le altre persone colpire dal virus».