La famiglia Sartori è guarita «Non pensate che sia finita»
Lavis, chiusi in casa per 40 giorni. Bruna e Stefano e i loro 4 figli, tutti contagiati, hanno superato la malattia anche facendosi coraggio uno con l’altro. «Non è stato facile, medici e vicini ci hanno aiutati»
Lavis. Ancora prima dei tamponi, la famiglia Sartori di Lavis ha avuto la certezza di avere il coronavirus con un piatto di risotto, un giorno a pranzo. «Non sapeva di niente ed è lì che mi sono allarmata», ricorda Bruna Bonvicini. L’alterazione del gusto è uno dei sintomi più comuni causati dal virus. «Mio marito mi ha guardata, mi ha sorriso e mi ha detto: “Sai non volevo dirtelo per non offenderti. Ma stavo pensando proprio la stessa cosa”. Allora sa cosa abbiamo fatto? Ci siamo bendati». Tutta la famiglia si è sottoposta a un gioco. «Ognuno di noi doveva indovinare quello che stava annusando, senza vedere cos’era. Ma nessuno riusciva a capirlo: non avevamo più neanche l’olfatto».
Bruna, 44 anni, e Stefano, che ha appena compiuto 46 anni, hanno quattro figli: Celeste di 5 anni, Ginevra di 12, Gabriele di 16 e Sebastiano di 18. Tutti si sono ammalati e tutti ora sono ufficialmente guariti. La certezza è arrivata a inizio settimana, con l’esito negativo del secondo tampone. Per fortuna, tutta la famiglia ha superato la malattia senza le complicanze peggiori. Nel giro di due settimane, più o meno, erano già asintomatici.
Ma questa storia è un modo per andare oltre, rispetto ai dati che sentiamo tutti i giorni in conferenza stampa. Per dare un’anima ai numeri e capire che dietro a ogni malato in più c’è una storia, fatta di paure e difficoltà. «Noi l’abbiamo vissuta in famiglia e questa è stata una fortuna, perché ci siamo fatti coraggio – dice Bruna. E la voce trema un po’ per la commozione –. Quest’anno io e mio marito facciamo vent’anni di matrimonio. Lui aveva tante altre preoccupazioni: perché non poteva più lavorare. Ma comunque è riuscito a darmi forza. È stata una grande prova d’amore».
La famiglia Sartori non saprà mai come si è contagiata. Forse il virus lo ha preso Stefano che fa l’autotrasportatore e ha frequentato anche le zone fra Bergamo e Lecco (ma sempre con le protezioni). Ma non è certo.
In realtà, il giorno del “risotto senza sapore” è stato l’apice di una girandola di sintomi che ha coinvolto a fasi alterne l’intera famiglia, da metà marzo. Il primo è stato Gabriele che si è sentito male. Poi Stefano con qualche linea di febbre. Bruna con il dolore alle ossa che le sembrava tipico dell’influenza. Celeste con il mal di testa e il mal di schiena.
«Dobbiamo ringraziare i medici di Lavis: il pediatra Leopoldo Pellegrini e il dottor Alberto Mattarei – dice Bruna –. Ma anche i nostri vicini: sapevano tutti che eravamo malati e sono stati di una grande sensibilità. Una volta ci siamo svegliati e abbiamo trovato le brioche che ci avevano lasciato fuori dalla porta: è stato come Natale. E nessuno ci ha mai fatto sentire come appestati».
Ora però Bruna ha anche una paura. «Dalla finestra vedo persone che si incontrano, si fermano a chiacchierare e sono senza mascherine. Dal 4 maggio ci saranno più libertà, ma vi prego, state attenti: la nostra famiglia c’è passata e non è facile. Non pensate che sia finita. Non bisogna abbassare la guardia».
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