il processo

«La ’ndrangheta si è radicata, adesso bisogna estirparla»

Processo Perfido, attesa oggi (27 luglio) la sentenza della Corte d'Assise. Parla Walter Ferrari, da anni in prima linea col Coordinamento lavoratori porfido: «È un fenomeno poco conosciuto»


Ilaria Puccini


TRENTO. «In Trentino non ci sono state infiltrazioni mafiose, ma un vero e proprio radicamento, che non sarebbe stato possibile senza il benestare di un malaffare autoctono, trentino, di cui dobbiamo prendere tutti coscienza. Quanto al processo "Perfido", non cerchiamo condanne esemplari né giustizia mediatica, ma vogliamo che emerga la verità e che sia sempre assicurata la trasparenza, così che si possa parlare ad alta voce di criminalità organizzata, conoscerla, combatterla con la coscienza collettiva e la partecipazione democratica». Per Walter Ferrari, oggi a capo del Coordinamento lavoratori porfido, la sentenza della Corte d’Assise di Trento (attesa per oggi, 27 luglio) sulle presunte infiltrazioni mafiose nel business delle cave estrattive in Val di Cembra è solo una fase in una battaglia che per lui dura da ormai 40 anni.

Ora che siamo alle battute finali, cosa ci lascia questo processo?

Comincerei dalle cose positive perché quelle negative devono seguire ed essere uno sprone ad andare avanti senza sederci sugli allori. È positivo che si sia posta l’attenzione sul settore del porfido e sul malaffare che vi regna, tra conflitti di interesse e attività predatorie di una risorsa pubblica da parte dell’imprenditoria locale a danno della comunità e dei lavoratori. Inoltre fino a pochi anni fa ci si ostinava a negare la presenza di cosche criminali, nonostante la Commissione parlamentare antimafia già nel 2017 avesse lanciato l’allarme. Con le intercettazioni dei Ros e con il processo c’è stata una prima presa d’atto della presenza delle ’ndrine. Infine, bene che si sia attivata anche una parte di opinione pubblica e alcuni consiglieri provinciali abbiano colto le nostre istanze.

Gli aspetti positivi finiscono qui?

Ancora aspettiamo il rinvio a giudizio dei soggetti di alto livello che in qualche modo sono stati coinvolti, dai politici agli amministratori locali ai carabinieri di Albiano. Qualcuno potrebbe obiettare che la Procura stia attendendo il risultato di questo primo processo per procedere con un eventuale rinvio a giudizio, che in ogni caso non potrà prescindere da una necessaria presa di coscienza che non sono stati solo “loro”, i calabresi, il problema; ma lo è stato anche l’atteggiamento di noi trentini rispetto a quando sono arrivati qui. E poi c’è la gestione del processo, che da fine 2021, quando è partito, si è svolto in gran parte con rito abbreviato, quindi senza la fase pubblica di dibattimento. Troppo poche le udienze svolte a porte aperte.

Lei più che di infiltrazione parla di radicamento mafioso.

Lei definirebbe un giovane vitigno una vite piantata 40 anni fa? Gli imprenditori, gli amministratori e i politici hanno non solo tollerato la presenza della criminalità organizzata, ma non hanno disdegnato di fare affari con i Battaglia. Portavano soldi e controllo sul territorio e sui lavoratori. C’è chi li ha approcciati per ragioni elettorali per un voto di scambio, in cambio dell’acquisto o dell’utilizzo delle cave a prezzo agevolato, ma c’è anche il sospetto di riciclaggio, come la pm Colpani ha ipotizzato nelle indagini relative all’acquisto della cava di Camparta ad opera di Battaglia e degli Odorizzi.

Risultato, in un’area che era fiorente oggi c’è povertà e i più giovani se possono migrano.

L’industria del porfido avrebbe potuto garantire alle comunità locali introiti notevoli, invece cosa si è fatto? Canoni d’uso calmierati oltre i limiti di legge, concessioni rinnovate senza aste, porfido estratto pagato 4 o 4,5 euro al metro cubo quando per i parametri europei dovrebbero essere 14. Un’intera comunità depauperata e la rassegnazione che vedo in mensa sulle facce degli operai.

A Lona Lases c’è chi ha provato a opporre resistenza.

In quel Comune le modalità di controllo del consenso sono state più esplicite, con veri e propri atti intimidatori, perché hanno incontrato più resistenza. Con le elezioni del 1985 e del 1990 la comunità votò l’unica giunta comunale che si sia mai stata sottratta al condizionamento delle lobby dei concessionari del porfido, quella di Vigilio Valentini. Da atti più estremi come l’incendio dell’auto di un suo assessore nel 1986 la malavita è poi passata a modalità come scambi di favori e la gestione clientelare delle cave.

All’epoca non ci si era resi conto di ciò che stava accadendo.

Siamo stati anche soli per tanto tempo: la politica provinciale ci ha a lungo ignorato, quando non apertamente ostacolato.

Cosa si può fare per tenere alta la guardia?

Insistiamo nelle richieste che portiamo avanti da anni: l’istituzione di una commissione per l’accesso agli atti, una commissione d’indagine e un osservatorio di vigilanza. Sono passaggi ineludibili. Se davvero chi si proclama innocente non ha nulla da nascondere, questa possibilità sarebbe tutta a suo vantaggio. E poi credo molto nelle scuole e nei più giovani.













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