La Consulta: «Rettifica attribuzione sesso, per terzo genere serve una legge»
La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal Tribunale di Bolzano sulla base di un caso promosso da una persona non binaria sudtirolese patrocinata dall'avvocato trentino Schuster. La Corte: «Inammissibile»
ROMA. E' inammissibile la questione di rettifica di attribuzione di sesso in "un genere non binario" nell'atto di nascita ma tocca al legislatore affrontare il tema in quanto "primo interprete della sensibilità sociale". Lo ha deciso la Corte Costituzionale in riferimento ad una questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Bolzano dopo la richiesta (patrocinata dall'avvocato trentino Alexander Schuster) di un transgender, biologicamente donna ma che stava transitando nel genere maschile, che voleva rettificare il sesso nell'atto di nascita da 'femminile' ad 'altro'.
"L'eventuale introduzione di un terzo genere di stato civile avrebbe un impatto generale, che postula necessariamente un intervento legislativo di sistema, nei vari settori dell'ordinamento e per i numerosi istituti attualmente regolati con logica binaria", scrive la Corte.
Il Tribunale di Bolzano aveva sollevato due questioni di costituzionalità sulla base di un caso promosso da Aurel (nome di fantasia), una persona non binaria sudtirolese che studia in Austria, la quale richiede il riconoscimento legale del proprio genere non binario in Italia, seguendo l'esempio di altri Paesi. La prima questione riguardava l'impossibilità, secondo il diritto italiano, di attribuire ad una persona che non si identifica né nel genere maschile né in quello femminile una terza opzione. Con la seconda si lamentava l'obbligo per le persone trans di ottenere una sentenza per interventi terapeutici sul proprio corpo.
"L'eventuale introduzione di un terzo genere di stato civile avrebbe un impatto generale, che postula necessariamente un intervento legislativo di sistema, nei vari settori dell'ordinamento e per i numerosi istituti attualmente regolati con logica binaria", scrive la Corte.
La sentenza sottolinea al riguardo - spiega una nota della Corte Costituzionale - che "la caratterizzazione binaria (uomo-donna) informa, tra l'altro, il diritto di famiglia, del lavoro e dello sport, la disciplina dello stato civile e del prenome, la conformazione dei 'luoghi di contatto' (carceri, ospedali e simili)". La Corte, con la sentenza n. 143 depositata oggi, rileva tuttavia che "la percezione dell'individuo di non appartenere né al sesso femminile, né a quello maschile - da cui nasce l'esigenza di essere riconosciuto in una identità 'altra' - genera una situazione di disagio significativa rispetto al principio personalistico cui l'ordinamento costituzionale riconosce centralità (art. 2 Cost.)" e che, "nella misura in cui può indurre disparità di trattamento o compromettere il benessere psicofisico della persona, questa condizione può del pari sollevare un tema di rispetto della dignità sociale e di tutela della salute, alla luce degli artt. 3 e 32 Cost.".
"Tali considerazioni" - conclude la Corte - "unitamente alle indicazioni del diritto comparato e dell'Unione europea, pongono la condizione non binaria all'attenzione del legislatore, primo interprete della sensibilità sociale". La Corte ha poi dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011, nella parte in cui prescrive l'autorizzazione del tribunale al trattamento medico-chirurgico anche qualora le modificazioni dei caratteri sessuali già intervenute siano ritenute dallo stesso tribunale sufficienti per l'accoglimento della domanda di rettificazione di attribuzione di sesso. La Corte ha infatti osservato che, potendo il percorso di transizione di genere "compiersi già mediante trattamenti ormonali e sostegno psicologico-comportamentale, quindi anche senza un intervento di adeguamento chirurgico", la prescrizione dell'autorizzazione giudiziale di cui alla norma censurata denuncia una palese irragionevolezza, nella misura in cui sia relativa a un trattamento chirurgico che "avverrebbe comunque dopo la già disposta rettificazione". In questi casi, il regime autorizzatorio, non essendo funzionale a determinare i presupposti della rettificazione, già verificatisi a prescindere dal trattamento chirurgico, viola l'art. 3 Cost., in quanto "non corrisponde più alla ratio legis".
L'avvocato Alexander Schuster, nella sua ordinanza, aveva richiamato "la scienza medica, i sistemi giuridici stranieri, lo stesso diritto dell'Unione europea, concludendo che è oramai un dato acquisito che le persone con un'identità di genere non binaria esistono. Di ciò il diritto, anche italiano, deve prendere atto. E poiché esistono, i loro diritti e le loro libertà vanno garantiti. Tuttavia, l'attuale assetto normativo non consente al giudice di accogliere la domanda. Da qui la necessità di intervenire con una dichiarazione di incostituzionalità".