Memoria

La coerenza del "No!" cattolico

Francesco Comina e il suo libro-ricerca dal titolo “La lama e la croce – storie di cattolici che si opposero a Hitler”. «Era quel mondo cristiano che provava a dire come fosse impossibile conciliare la nuova mistica del Reich con l’insegnamento di Cristo»


Paolo Campostrini


BOLZANO. Era un prete, Heinrich Dalla Rosa. Però prima era un ragazzo che abitava a Lana. Papà trentino, mamma meranese. Casa e chiesa, come si dice. Ma anche giochi, scuola, amici. Quando i suoi se ne vanno in Austria decide di farsi sacerdote e, negli anni della guerra e dei nazisti che si sono presi l'Austria non certo con la forza ma con le svastiche a garrire lungo i viali affollati di braccia tese nei giorni dell'Anschluss, ha una parrocchia. E insegna in una scuola di paese, in Stiria. Dice, seppur a mezza voce, quello che pensa. Ad esempio che gli risulta un poco complicato mettere insieme il Vangelo con la propaganda, Gesù con Hitler. Qualcuno lo sente: è Renegade Hlading, il maestro di musica, e chiama il partito; il partito gli mette vicino uno di fiducia e, poco dopo, arriva la delazione, «occhio a quel prete». Lui se l'era presa a sentir parlar male dei cattolici e non era stato zitto. Qualche parola in chiesa, un'altra dove insegnava, a scuola, un diverbio, e giunse l'arresto. E con la prigione, nel carcere di Leoben, le torture e poi la condanna. Finì ucciso a Vienna dalla ghigliottina, padre Heinrich, di Lana.

«Chi lo conosceva da noi? Pochi. Direi nessuno. Un ricordo che si era perduto nella memoria», dice Francesco Comina. Che era finito, dopo alcune ricerche in Austria, nella chiesetta di St. Peter, a Lana. Lì dentro, un poco in penombra, aveva notato una piccola scritta: in ricordo di Heinrich Dalla Rosa. Poi era ritornato quel nome nel memoriale di Vienna. Una piccola luce nel ventre della grande storia. Con Heinrich, mese dopo mese, avevano poi preso ad affiorare altri nomi e con loro tanti volti. Per finire col formulare una riflessione: ma allora non c'era solo la Rosa Bianca, gli studenti simbolo delle resistenza tedesca. Non c'è stato solo Mayr Nusser e il suo "no a Hitler". C'era di più. C'è stato molto di più in quel mondo cattolico e cristiano che provò a opporsi al nazismo. Ma poco di scritto su tutto questo. Ora proprio Comina ha raccolto il frutto delle sue ricerche nelle catacombe delle vittime dimenticate e ne ha fatto un libro. Si intitola "La lama e la croce", sottotitolo "Storie di cattolici che si opposero a Hitler" (Lev Editore). Il volume è uscito ieri. Ne parliamo con l'autore.

La lama è la ghigliottina?

«Certo. E la croce è il segno per cui accettarono di morire».

Erano cattolici?

«Sì, ma anche protestanti. Era quel mondo cristiano che provava a dire come fosse impossibile conciliare la nuova mistica del Reich con l'insegnamento di Cristo. Col fatto stesso di dirsi cristiani».

Come nasce "La lama e la croce"?

«Da un invito dell'editrice vaticana. "Allarghiamo il lavoro?", mi è stato chiesto. Inteso dopo quelli su Franz Jaegerstaetter o May Nusser».

È stato facile?

«No, assolutamente. Sono nomi, fatti, eventi, condanne e vittime di cui si sa poco. Poche pubblicazioni in tedesco e quasi nessuna, se non nessuna, in italiano».

Cosa emerge alla fine?

«Che furono migliaia gli oppositori al nazismo. E decine di migliaia tra i cristiani. Nelle chiese e nelle organizzazioni cattoliche».

Dunque "i volonterosi carnefici di Hitler" come recita quel libro sull'adesione quasi totale della popolazione al nazismo?

«È un poco fuorviante. In realtà gli oppositori furono molti di più di quanto presumiamo. E pure di quanto immagina lo stesso mondo cristiano oggi».

Da dove è partito?

«Dal Museo della resistenza a Berlino. Si trova nella caserma da cui partì l'attentato a Hitler nel '44, organizzato da alcuni ufficiali della Wehrmacht. Nelle sale ci sono decine di nomi legati ai testimoni cristiani dell'antinazismo. Ribellioni e sacrifici per lo più sconosciuti».

Partendo da dove?

«Magari da Walter Klingenbeck e dai suoi compagni di scuola. Un gruppo studentesco che operava dentro un istituto tecnico».

Ricorda i ragazzi della Rosa Bianca?

«Appunto. E apre ulteriori scenari sull'impegno di tanti giovani nelle scuole tedesche in quegli anni: come quelli della "Rosa" stampavano volantini, scrivevano sui muri. Erano legati a una organizzazione mariana. Pensarono addirittura a far volare un aereo radiocomandato. Un modellino costruito da loro per lanciare volantini anti nazisti. Furono tutti arrestati con le accuse di attività antitedesca. Ma anche una singolare: aver ascoltato Radio Vaticana».

Era proibito?

«Assolutamente. E questo fa comprendere molto dei rapporti tra Reich e chiesa. Walter fu ghigliottinato, il 5 agosto del '43. I suoi giovani compagni sopravvissero, furono graziati».

Ci furono donne resistenti cattoliche?

«Certo. Tra loro il gruppo che si ritrovava intorno alla "Rote Kapelle". Un luogo chiamato così dai nazisti. "Rossi", per via dei sospetti che tra loro vi fossero simpatizzanti comunisti»

Era vero?

«Solo in parte. In realtà c'era di tutto. Anche giovani anarchici. Ma in particolare cattolici. E loro due: Eva Maria Buch e Maria Terwiel. L'organizzazione cattolica contava almeno su 150 aderenti. Si trovavano a Berlino. Eva era dipendente di una libreria e si innamorò di Wilhelm Guddorf, che militava nella Kapelle e la coinvolse nella lotta di opposizione. Amava le pagine delle "Beatitudini". Fu arrestata dalla Gestapo nel '42 e ghigliottinata il 5 agosto 1943. Per capire la loro forza d'animo basta leggere le ultime lettere. Una la scrisse il giorno della sua morte. Eva l'aveva indirizzata alla famiglia: Scriveva: "Miei cari, le cose sono andate come sono andate ma ora c'è pace e gioia. Sono molto felice della mia vita..."».

Anche Maria Terwiel fu giustiziata?

«Aveva 33 anni il giorno in cui venne uccisa dalla ghigliottina. Le ultime parole sue furono: "Muore bene chi muore così"».

Nel libro parla anche di vittime religiose.

«Certo, Una delle figure più significative è quella di una suora, Angela Autsch. Era finita ad Auschwitz. Ma non si perse d'animo. Andava, anzi correva ovunque, tra i detenuti, vi fosse un bisogno, un conforto da offrire. La chiamavano suora-angelo, perchè appariva quasi d'improvviso. Era un'austriaca».

C'è allora l'idea, che esce dal libro, che nel mondo austro-tedesco, in quegli anni se si parla di resistenza al nazismo occorre guardare soprattutto al mondo cattolico?

«È così. Non è un'idea, è una certezza...».













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