Il costo (ormai insostenibile) della neve e del turismo alpino
Nel libro «Inverno liquido» di Michele Nardelli e Maurizio Dematteis una approfondita analisi fra clima, economia e sfruttamento
TRENTO. Non stiamo a girarci intorno: il cambiamento climatico è una realtà, e l'industria dello sci - sull'arco alpino come in Appennino - deve ricorrere a ogni mezzo per sopravvivere. Ma la domanda è: a quale costo, e per quanto?
È la domanda che si sono fatti Maurizio Dematteis e Michele Nardelli. La risposta è nel libro «Inverno liquido - La crisi climatica, le terre alte e la fine della stagione dello sci di massa», edito da Derive Approdi (20 euro). Il risultato di due intensi anni di trasferte, sopralluoghi, interviste ed analisi per mettere insieme idee.
La premessa: «C'è un momento preciso in cui capisci che qualcosa sta cambiando. Sei nato e cresciuto pensando che sarebbe sempre stato così, anno dopo anno, stagione dopo stagione, generazione dopo generazione. Poi un giorno ti svegli e d'improvviso gli impianti di risalita sono fermi. E capisci che quel mondo è finito» dicono gli autori.
«L'emergenza sanitaria legata al Covid 19 ha messo in luce l'estrema debolezza del modello economico legato al turismo dello sci da discesa sulle montagne. In un'epoca nella quale il Climate Change ne accorcia le stagioni e ne aumenta i costi di gestione, in cui la crisi economica lo rende uno sport elitario e il cambiamento culturale vede prospettarsi una diversa domanda di svago anche nei centri vocati alla monocultura del turismo invernale, quali prospettive di riconversione possono essere messe in campo?».
Spiega Nardelli: «La domanda di base è: le comunità delle terre alte si interrogano sulle conseguenze climatiche? E siccome terre alte significa sci, si interrogano sul futuro dello sci? Perché quello che succede lo abbiamo intorno: sempre più montagne senza neve».Per i due autori, la risposta è «cambiare paradigma, ma la risposta delle amministrazioni locali, con la pioggia di soldi del PNRR, è controproducente, perché ha finito con il finanziare progetti che erano nel cassetto da anni perché insostenibili».
Il lungo reportage è diviso in capitoli, che raccontano storie paradigmatiche. Per il Trentino, ad esempio, il «caso Monte Bondone», con una storia della località ma anche una analisi (seria e ponderata) sul «grande impianto». Ma c'è anche una parte dedicata al «caso Asiago», con l'appendice di Lavarone e Folgaria. Senza tralasciare il caso Passo Rolle, «il miracolo svanito». Ed un approfondito focus su Dolomiti Superski.
Naturalmente si parla delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina: con «un fiume di denaro, per Olimpiadi malate di gigantismo», chiosano.Se i diversi «casi» offrono una carrellata condita di errori ed orrori, è però la prima parte a fornire il contesto: il capitolo «le radici dell'oggi» analizza infatti il sorgere dello sci di massa.
È poi impressionante il capitolo a pagina 124, che si occupa della Marmolada dopo la tragedia del crollo del luglio scorso. Ma la tragedia, a leggere questo capitolo, appare in una luce completamente diversa. «Il ghiacciaio ha perso l'80% della sua massa in un secolo ed è destinato all'estinzione. Sono dati incontrovertibili, e di dominio pubblico. La cosa più sconcertante è che nelle nostre comunità alpine si tende a far finta di nulla».
La domanda è: che cosa si può fare? «Non siamo catastrofisti, nella nostra ricerca siamo andati a trovare anche esempi positivi» dice Maurizio Dematteis. «Siamo alla fine di un periodo di post-fordismo, ma alcune realtà hanno un futuro, partendo dal punto di vista delle comunità. Chiaro che, come dice Luca Mercalli, Cervinia ha davanti 30 anni di attività. Per un investitore è ancora appetibile. Ma per chi vive lì? Forse vale la pena iniziare a pensarci».
Per Dematteis «in tante piccole realtà si rischia la desertificazione. Ma ci sono comunità che hanno reagito, e le raccontiamo». Reagito come? «Sono piccoli numeri, ma bisogna diversificare l'offerta, E noi abbiamo cercato e raccontato anche il "non ancora" del turismo di montagna».