I veterinari non si fermano «Aiutiamo a contenere i danni»
Emergenza Coronavirus. Il dottor Patrizio Covi con un collega segue i 2 mila bovini delle Valli di Fiemme e Fassa «Gli allevatori sono pieni di dubbi e con il fiato sospeso. I prezzi calano, poco o tanto, e il mercato locale è crollato»
Valli di fiemme e fassa. Tra le persone che, in questo periodo d’emergenza da Coronavirus, non hanno smesso di lavorare ci soni i veterinari come Patrizio Covi. Assieme a un collega, Covi da anni segue i 2 mila bovini delle aziende agricole di Fassa e Fiemme. Un giorno di riposo, per ciascun veterinario, e ritmi leggermente più rallentati rispetto al solito. Per il resto, nessun cambiamento. «Abbiamo ridotto – spiega il dottor Covi - l’attività di zootecnia, razionalizzato gli spostamenti, valutando le emergenze e quanto si può posticipare. Per il resto, si lavora come sempre, anche per sostenere gli allevatori che stanno affrontando un momento piuttosto complicato».
In che modo li aiutate?
Innanzitutto, dipanando i dubbi, causati anche dal bombardamento mediatico di questi giorni: mettiamo a disposizione degli allevatori le nostre conoscenze sulle malattie infettive e le indicazioni necessarie per tutelarci. Abbiamo ritenuto, poi, di ridurre al minimo il grave danno economico che sarebbe derivato dal sospendere l’inseminazione delle bovine, cercando di accorparla il più possibile agli interventi sanitari sugli animali e dedicandola solo ai capi che danno buoni segni di fertilità. Con le ultime restrizioni è probabile, però, una diminuzione».
C’è preoccupazione tra gli allevatori per il Covid-19?
Sono con il fiato sospeso, oltre che per le questioni sanitarie che ci coinvolgono tutti, per i pesanti risvolti economici legati al virus. Il prezzo di 4-5 euro al kg delle bovine, non più redditizie mandate al macello, si è ridotto a 1,5 euro al kg. Il prezzo del latte e dei formaggi freschi è in sofferenza per via del blocco delle esportazioni. Gli unici che, al momento, si salvano sono i formaggi stagionati che hanno tempi di commercializzazione più lunghi. Il mercato locale è crollato con la chiusura anticipata della stagione turistica, mentre la grande distribuzione tiene ancora bene, forse anche grazie all'indicazione giunta da più parti di "comprare italiano". Nel momento in cui, però, dovesse mancare la forza lavoro nei caseifici valligiani, per il diffondersi di casi da Covid-19, il nostro latte di alta qualità finirebbe ai trasformatori industriali, che offrono 30 centesimi al litro, a fronte di costi di produzione di oltre 45 centesimi.
Prende particolari precauzioni durante il lavoro, dato che Fassa e Fiemme sono tra le località trentine più colpite dal Coronavirus?
Quelle imposte dai decreti, quindi mascherina, guanti, distanza dalle persone di più di un metro. Al momento non ci sono casi di positività tra gli allevatori, compresi i proprietari di agritur, che hanno avuto contatti con i turisti fino all’ultimo weekend di grande afflusso sulle piste da sci. Purtroppo, in quei giorni, non si sono prese misure adeguate al grave rischio di contagio. Ora, le valli turistiche stanno pagando lo scotto.
Gli animali, invece, non sono vittime del Covid-19.
No. Sembra assodato che quello che sta colpendo, con tanta virulenza, gli esseri umani ha compiuto un salto di specie. Si sa che deriva dai pipistrelli e che, probabilmente, tra le popolazioni che se ne cibano c’è stato un’infezione durante la fase di macellazione. Da lì è partito il contagio.
È la prima volta che avviene un salto di specie da parte di un virus?
È un evento raro, ma pare che il morbillo derivi dalla peste bovina (oggi debellata), da cui sarebbe stato colpito l’uomo, moltissimo tempo fa, quando ne cominciò l’allevamento.
Come sono cambiate le valli in questi giorni: sono vuote?
«Sì, faccio 45 mila chilometri l’anno e non ho mai viaggiato così bene sulle strade di Fassa e Fiemme, dove non circola nessuno».