L’intervista

Ferruccio Gazzola e il teorema di Guldino: «Grazie agli studi all’Iti feci un figurone»

In attesa del raduno decennale dei diplomati all’Istituto, in programma a settembre, parlano i protagonisti di un’epoca

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Daniele Peretti


TRENTO. Ferruccio Gazzola e il teorema di Guldino, ovvero la conferma che la preparazione in matematica dell’Iti di corso Buonarroti era di primo livello. “Dopo il diploma fui assunto all’Enel nel compartimento di Venezia ed inserito nel Centro di Progettazione. Erano gli anni del boom economico, la cui richiesta di energia aveva quasi esaurito la produzione idroelettrica; noi dovevamo progettare le centrali termoelettriche. Si doveva calcolare la capienza di un serbatoio dalle dimensioni particolari che però con i normali conteggi non si riusciva mai ad avere i calcoli esatti. Tornato a casa nel fine settimana, pensavo a queste incongruenze quando mi venne in mente la formula di Guldino che avevamo studiato a scuola. Rifeci i calcoli che presentai al direttore al mio rientro a Venezia: erano perfetti e da neo assunto feci un figurone”.

Dai racconti di Ferruccio Gazzola emerge anche una figura diversa dell'ingegnere Alberto Crespi. “La mia era una famiglia poverissima e farmi studiare era un enorme problema. Il professor Crespi osservava i suoi studenti e individuati quelli più in difficoltà, li aiutava utilizzando completamente il suo stipendio da insegnante. Ebbi la fortuna di essere aiutato e così tutto il mio percorso scolastico divenne un sacrificio minore per la mia famiglia”.

Che ricordo ha della scuola?

“Molto bello, ero entrato in un mondo nel quale si scoprivano cose. Mi piaceva tanto e studiavo con molta applicazione. In più fu anche il mio primo lavoro”.

Cioè?

“Dopo il diploma mi chiamò il preside dicendomi che mi voleva sia come tecnico del corso di “aggiusta tutto” che come assistente del laboratorio di chimica. Restai fino a quando vinsi il concorso all’Enel. Rimasi a Venezia fino al 1970, quando chiesi il trasferimento a Trento e nel 2000 sono andato in pensione”.

E’ stato anche uno dei primi giocatori di basket trentini.

“Ero molto alto, pensi che nonostante l’età sono ancora un metro e ottantasei centimetri. Il nostro professore di ginnastica era Covi al quale piaceva scoprire talenti. Mi avviò alla pallacanestro e negli anni sessanta giocai nell’allora Rangoni, tra i miei compagni di squadra c’era anche Lino Zavarise, papà di Mauro oggi dirigente dell’Aquila Basket. Ricordo ancora le trasferte premio a Bologna e Bolzano a vedere le partite. Nei campionati studenteschi oltre al basket, correvo anche i 200 piani e gareggiavo nel salto in alto”.

Ha avuto anche una storia d’amore mai sbocciata.

“Storia molto particolare, la racconto. Gli studenti poveri come me in estate andavano a lavorare in campagna, i più ricchi andavano all’estero a fare dei giri in bicicletta. Il professor Covi era un promotore degli ostelli che considerava un’esperienza importante per crescere. Al ritorno i miei compagni ci portarono degli indirizzi di ragazze tedesche che volevano corrispondere con ragazzi italiani. Ne presi uno e cominciammo a scriverci, mi mandò le sue foto ed avrebbe voluto che andassi a trovarla. Troppo per un ragazzo come me che aveva in testa lo studio e doveva vivere con pochi soldi e lasciai stare”.

Rimpianti?

“No, perché vivendo con poco avevo troppo bisogno della libertà per sopravvivere”.

Si diplomò Perito Meccanico.

“E fummo i promotori di questi ritrovi: ci si incontrava tutti gli anni tra compagni di classe. Poi però da privatista presi anche il diploma di elettromeccanico”.

Un ricordo dell’Enel?

“Il momento in cui arrivarono i computer che di fatto hanno cambiato la mentalità. In tanti li rifiutavano a priori, al contrario io li volli conoscere e fui uno dei pochi a conseguire la patente europea del computer”.













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